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La scia di battute che la fallita predizione Maya si lascia alle spalle è una amara combinazione fra il razionalismo esibizionista dei nostri tempi e il senso di disfatta che continuamente riecheggia intorno, e a due passi dalla catastrofe annunciata, benché privo del cumulo di scatole da consegnare alla spazzatura, il Natale ha riportato comunque segni di vita e di speranza.
Quest’anno dentro di me ho festeggiato il Natale nei bambini messi al mondo nonostante ogni incertezza e ogni segno di crisi, nella forza delle donne che ritrovano il filo della nostra storia anche nei suoi momenti più cupi: quelle della Resistenza, le madri dei desaparecidos, le donne che attraversano il mare verso la vita, le contadine che scavarono con ostinazione i versanti ripidi delle Cinque Terre. L’ho sentito arrivare già nel giorno del mio compleanno, quando in ottobre mi è parso imprevedibilmente di vedere mia madre in una giornata di sole autunnale di un paese sul mare, disfatta e felice, e il me stesso bambino: una immagine quest’ultima che con il passare degli anni mi si accosta sempre di più, e sembra venga a chiedermi tenerezza, e sollecitare il mio desiderio di protezione.
Se non arriva la fine del mondo è perché le donne contro ogni credo maligno continuano a mettere al mondo i figli, e per ogni puerpera che si schiude c’è un Natale da festeggiare.
Contro le stragi di bambini nelle guerre maledette e infinite, contro ogni assassinio di donne in ogni parte del mondo.
Di Vittorio Alessandro

In foto: donne migranti con i bambini. Scatto di Vittorio Alessandro a Lampedusa, nel 2011, durante le operazioni di soccorso in mare e sbarco sicuro. La Squadra ‘Sit Down’ della Guardia Costiera fronteggiò un esodo dalle proporzioni bibliche.

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