da Rosanna Fronzuto | 9 Gen, 2013 | Litterae
Mostrare le ferite che i reduci cercano di nascondere e reprimere, inquadrare il presente nell’analisi storica dell’origine e della fine dei conflitti, mettere in luce le forze della speranza per la rinascita in un futuro migliore, sono tra gli aspetti sui quali il Teatro di guerra intende alzare l’attenzione e la riflessione del pubblico.
Abituato a esprimersi nel cinema, nella prosa e persino nella lirica, Mario Martone, regista dell’indimenticato film Morte di un matematico napoletano, è l’attuale direttore dello Stabile di Torino nella cui stagione teatrale spicca il progetto Teatro di guerra. Il titolo e l’intento sono gli stessi di un suo film del 1998, ma nella dimensione del palcoscenico Martone può svilupparli in messaggio socio-culturale con funzione didattica per la collaborazione diretta di studenti e docenti dell’Università di Torino.
Il progetto apre in questi giorni con Guerra dello svedese Lars Norén, seguitissimo drammaturgo contemporaneo e direttore artistico del Folkteatern di Gotheborg, che fa rivivere gli echi di Elettra e di Edipo, le sagome di Egisto e Clitennestra, come a testimoniare che la rappresentazione dei conflitti debba partire da una struttura scenica e metaforica basata sulla tragedia classica. Guerra, diretto da Marinella Anaclerio e messo in scena dalla Compagnia del Sole, è stato tra gli eventi del XX Mittlefest.
Il progetto proseguirà in primavera con Piccola guerra perfetta di Domenico Castaldo sugli orrori della guerra in Kosovo; Requiem For Ground Zero poema di Steven Berkoff sull’11 settembre; Giochi di famiglia diario della drammaturga serba Biljana Srbljanovic scritto durante i bombardamenti della città di Belgrado.
(di Martha Renzi)
Per saperne di più… Dalla Serbia a Ground Zero,in scena il Male chiamato guerra.
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da Rosanna Fronzuto | 2 Gen, 2013 | Litterae
Tempo fa abbiamo parlato di Calvino e la sua ombra attraverso il ricordo di un compagno di liceo riferito dal Corriere della Sera, in un articolo ritrovato per caso. Adesso torniamo su Calvino ragazzo, che durante le interrogazioni si voltava di spalle, come per ascoltare bene un suo interlocutore invisibile e proseguire, grazie a lui, il parlare. Si rapportava alla sua ombra, un’ombra protettiva e accompagnante cui si affezionò, trattenendola con sé fino alla vita adulta ed arricchendola di mille voci, ognuna pronta a recitare, dall’alto di un empireo di molteplicità, una diversa visione di realtà.
Calvino si voltava, dunque, verso l’altra angolazione, quella di un suo diverso possibile io, che non è mai soltanto e semplicemente un altro, ma è l’universo di altri possibili. E’ l’intera umanità. Sono I nostri antenati, sono Gli amori difficili, Le città invisibili. Questo e anche oltre, nello sconfinare libero dell’immaginazione in un mondo, tanto fantastico quanto reale, da non sembrare più la terra nota sotto i piedi, ma il teatro colorato, emozionale ed inventato, del Castello dei destini incrociati e delle Cosmicomiche vecchie e nuove. Tacciato da alcuni di frammentarietà, come se la vastità della sua opera mostrasse un caos interiore, Calvino è e resta tra le più grandi personalità del Novecento. Soltanto i grandi avvertono, non reprimono, ma anzi sviluppano, questa tensione interiore ad abbracciare il mondo come infinito anche nel più piccolo dettaglio. Soltanto i grandi osano sperimentare le innumerevoli possibilità di combinazioni dell’imbattersi nell’io, nell’altro, nelle cose e nel caso senza chiudersi in un pensiero assiomatico. Soltanto i grandi sostengono lo stato di sospensione visionaria, superando il plumbeo limite dell’incomunicabilità in un sorvolare orfico tra terra e cielo, dove la dimensione innocente e giovane non svanisce e l’immaginario diviene tessuto, impalpabile e pregiato, di mille personaggi lasciati fluire, fino a noi. Incantati.
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Per saperne di più si consiglia la raccolta di interviste dal 1951 al 1985, completata nel 2012 e recensita in Calvino e il gioco dei destini incrociati.
In foto: San Giorgio e il drago. Paolo Uccello (1397-1475).