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Il caso Max Reger di Agostino Raff

Il caso Max Reger di Agostino Raff

IL CASO REGER di AGOSTINO RAFF

Accostandoci al caso Reger (Brand, Baviera 1873 – Lipsia 1916) bisogna aver subito chiaro l’ossimoro che caratterizza il suo fenomeno: Max Reger è un musicista che ha fede perché è disperato, ed è disperato perché ha fede. Fede nella grande musica s’intende, che nel suo caso -lumeggiata dalla passione per il Corale luterano elaborato da Bach- si compenetra di fede religiosa. Un personaggio musicale tra scultoreo ed emotivo alla ricerca di patriarcalità, quindi bisognoso di certezze a tutto campo, ma angosciato proprio dal trasmutare di queste certezze, quasi perdita di un’infanzia; un individuo travolto da una crisi d’epoca che si è soliti per fiscalismo invocare puntualmente almeno ad ogni scader di secolo. Un patriarca scaraventato nel dubbio, dunque? Un creativo perseguitato dalla propria onestà intellettuale? Persecutrice di Max Reger non fu la fama -del resto laboriosamente sollecitata in vita- ma la critica. Quella critica mutante tra due secoli, l’Ottocento e il Novecento, costretta ad affrontare le profezie musicali in corso che abbandonavano l’humus ormai estenuato del tardo romanticismo. Come recepì quella critica la musica regheriana cervellotica, intimista, magniloquente, disperata appunto, ma anche accorante e grandiosa nella sua invocazione, che poteva sembrarle un fenomeno-zavorra del morente Ottocento o un non abbastanza eversivo annuncio del Novecento?

Quanta giustizia o ingiustizia la critica rese alla sovrumana fatica di quel bavarese dionisiaco, endomorfo schietto, strappato alla vita a 43 anni, che il pittore espressionista Max Beckmann superbamente effigiò in memoriam nel 1917, e che nel nostro trittico figurativo del 1969 presso il tedesco Reger Institut intendemmo narrare nella sua dinamica organistica verso un visionario razionalismo? Il Terzo Reich, vent’anni dopo la morte di Max Reger, tentò di farne “un primo talento germanico”, ma tale Richard Eichenauer, autore di un “Musica e Razza” (1930) non mancò di schedarIo in fondo come “balto-dinarico [ … ] anima baltica, deliquescente, dominato da un eccesso di ansietà e meschineria”. Così anche in patria l’artista bavarese dalle ire ciclopiche, dal sarcasmo scatologico e dalle opinabili ebbrezze pubbliche da birra e sigaro, perdette l’occasione di essere manovrato in contumacia dal successivo nazionalsocialismo. Dopotutto le premesse mancavano.. Il temperamento di Reger, esuberante, estroverso ma intimamente vulnerabile (lo testimoniano appunto le faville di abbandono nelle organistiche pagine intime) non esitava affatto a coinvolgere nell’attività musicale artisti e illustri studiosi di cultura ebraica scambiando con loro amicizie feconde perfettamente sincretiche e civili.

Certo le campagne razziste erano di là da venire, ma, guarda caso, un alibi della critica negativa dopo il 1945 contro Reger fu il suo sentimento nazionalista, per aver composto un’ “Ouverture patriottica per grande orchestra” (op. 140) dedicata alle forze armate tedesche all’inizio della prima guerra mondiale. Molto più tardi, Hermann Danuser (1987) rileverà che “Verso la metà del secolo Ventesimo nella Germania federale come nella Germania democratica, la rimessa in gioco dell’idea di un ‘arte tedesca nella quale Reger stesso aveva fermamente credutonon ha fatto che ridurre ancor più l’accoglienza riservata all ‘opera del compositore. Fuori da queste frontiere le difficoltà si facevano ancora più strette, in ragione della reticenza del pubblico straniero nei confronti di una musica recante il marchio di un classico tedesco”n.

 Oggi la cultura musicale dominante non facilita la sopravvivenza di colui che un giorno essa apprezzò come saldatore soggettivo di un grande passato alle prime istanze del Novecento. Nonostante i pretesti, il motivo di questo disinteresse rimane infine abbastanza misterioso, e si è tentati di chiamare in causa la latitanza della capricciosissima dea Fortuna, ove si pensi invece che il Reger non solo organistico ma orchestrale e specialmente da camera offre prospettive di intenso impatto concertistico, e di curiosità discografica. Eseguito amorevolmente da appassionati può schiudere emozioni inedite e complesse, può suscitare il piacere estensivo della sorpresa, della scoperta di valori metastorici. L’ascolto di Reger -a differenza p. es. da quello di Mahler, di Richard Strauss o di Bruckner- non è emotivo ma intellettivo. A sua volta l’emozione scaturirà dal piacere di inoltrarsi nella complessità profonda di quella musica.

Enti musicali, concertismo, imprenditoria discografica dovrebbero sensibilizzarvisi, per non alienarsi all’infinito nelle acque ormai ferme della musica di uso esausto. Attualmente, qual è la prospettiva immediata della divulgazione di Reger? In Germania l’Istituto Reger di Karlsruhe agisce con impegno e solerzia. Oltre agli studi musicologici e saggistici sempre aggiornati (recente una ponderosa biografia di mano della Direttrice dell’Istituto, Susanne Popp, dal titolo “Max Reger, Werk statt Leben” / “M.R.Lavoro come vita”) esistono serie di CD su ‘tutto Reger’. In Italia si è più distratti, con flussi di fascinazione discontinua per il mistero Reger. Ma bisogna rimuovere un pregiudizio oscurantista che grava sul suo coinvolgimento nei concerti, specialmente d’orchestra. Nessuno si aspetta la splendente vitalità che proromperebbe dal Concerto in Fa minore per Pianoforte e Orchestra op. 114, dalle Variazioni su Hiller, dal sublime Largo del Concerto per Violino, dal Requiem Latino incompiuto … ci vorrebbero oggi ancora i Ramin, i Serkin, i Fox, i Bamberger, Stech, Zanini, Davis, Joyce, Germani, Haas, Becker … ci vogliono i Roberto Marini, talenti regheriani che si facciano divulgatori instancabili di una musica non alla moda ma poeticamente inaudita e con il contrassegno assai rispettabile dell’inconfondibilità.

TURBOLENZE CRITICHE E CONTRACCOLPI.

Una trasvolata rapida sulla critica regheriana , quella cioè che ha la sua musica come oggetto e che appare irta di clamori, ci aiuta a scolpirlo a tutto tondo nella sofferta figura. Carl Dahlhaus ha osservato che uno dei perché Reger sia poco eseguito è dovuto al fatto che egli non lascia all’ascoltatore nessun respiro, nessuna tregua, in nessuna delle tre dimensioni della scrittura musicale: melodia, armonia, ritmo. Nel senso che -proprio secondo il successivo postulato schoenberghiano- Reger intuisce una dovuta, non gerarchica simultaneità di quelle dimensioni, una loro equivalenza filosofIco-acustica. Ciò escluderebbe una semplicità almeno ‘settoriale’ che possa fornire un appoggio alla percezione dell’uditore.
Ma furono gli strali impietosi del pregiudizio scoccati dai critici alla moda (e dai loro epigoni che a tutt’ oggi non mancano) ad annebbiare la forte immagine musicale di Reger. Essa cominciò a isolarsi lentamente, quasi diroccando, nello spazio e nel tempo. Vorremmo per un momento essere l’angelo bambino che scende a porgere la palma simbolica al Reger-San Matteo dalle nubi travagliate del Caravaggio nella romana chiesa di San Luigi dei Francesi. Vorremmo ripercorrere alcune fasi del martirio del nostro santo laico musicista, a riscatto della sua grandezza. “Reger, un mestierante vuoto, pericoloso, bugiardo [ … ], non è che affettazione [ … ], peggio ancora: egli non è soltanto nulla ma è anche causa di irritazione continua e sterile”. Firmato: Ernst Bloch (1918) filosofo, autore de “Lo spirito dell’Utopia”. Da non confondere con il musicista Ernest Bloch autore di un “Macbeth (1910), che nel suo Oratorio “Avodath Hakodesh” (1933) mostra invece di aver fatto rispettoso tesoro della lezione regheriana, specie dei Requiem e del “Salmo 100”. “Assenza totale di gusto artistico, disconoscenza di ogni proporzione e ordine tonale”. Firmato: Vincent D’Indy (1909).

Èccone adesso una meno innocente, intenerita dall’Inquisizione: “Manca alla musica di Reger qualcosa che si può percepire invece in negativo [ … ]. Quando un giorno, nella III Sonatina in Fa magg. per pianoforte mi sono trovato faccia a faccia con questo ‘dèmone malsano’, la sua presa su di me cominciò a cedere. Là il chiarore si fa digrignante, il malinconico si fa aspro, tutto pesa: si riconosce quel dèmone. La sua musica manca di solidità, diforza calma, di serenità creatrice, di soffio spirituale. Tutto è furtivo, passa, dissolve. Quest ‘arte non parla alle masse, può solo sedurre una cerchia ristretta, due persone, una persona. Poiché bisogna isolarsi, per gustare senza vergogna _ questa musica fatta di crisi e sballottamenti, che esaspera l’individualità e rifiuta l’essere come anello della catena degli umani”. Firmato: M. Schlensog (1924). “Reger non è ascoltabile, è soltanto leggibile. Penso non avesse orecchie. Dubito anche sia esistito come uomo, semmai come società anonima [ … ]. Diventa evidente che ciò che funziona come una macchina è non solo senza spirito, ma, se l’avesse, sarebbe totalmente disturbato”. Parola di Walther Krug. “Non percepisco altro che il lavorìo di un tale che non riesce a fermare il suo scrivere, che un lungo e noioso sferruzzare a maglia di note [.. . ]. Quando ciò farà nascere creazioni durevoli?” Firmato: Georg Stolzenberg (1913). “Una musica fabbricata non è musica, e tra arte e abilità c’è un fosso profondo”. Opinione di Friedrich Brandes (1906). “La musica di Reger è uno specchio del nostro tempo ghiacciato, industrializzato e americanizzato”. Walter Niemann lo asserisce. E non è poco, come riconoscimento (involontario) della … diagonale attualità del suo bersaglio. Ne volete ancora? Alla fine degli anni ’40 del Novecento, Helmut Walcha organista, acclamato interprete bachiano, radia le opere di Reger dal programma obbligatorio del suo Istituto di Alta Scuola di Musica in Francoforte sul Meno. Sono in arrivo dogmi stilistici di severa linearità, che annunciano anche in Italia le stragi di Organi otto-novecenteschi, demoliti per far posto ad asettiche copie dello schema obbligato d’Organo sei-settecentesco. Tutti costoro,. elèttisi a giudici, mancano di umiltà, di curiosità davanti alla musica. Essi non si sono seduti al suono dell’Organo per ascoltare il ‘Momento musicale’ op. 69 n.4, o il ‘Benedictus’ op. 59 n.9, o la ‘Melodia’ op. 59 n.11. Né le ‘Variazioni su un tema originale’ op. 73 o la ‘Fantasia su Wachet auf ‘op. 52 n.2 ,o il ‘Dankpsalm’ op. 145/2 con la sua perorazione dall’immenso panorama.

Avevano sicuramente altro da fare, e certo non si saranno fermati ad ascoltare il “Concerto per violino e orchestra” op. 101 col suo ‘Largo’ ineffabile, o i Trii, i Quartetti, o il citato turbinoso “Concerto per pianoforte e orchestra” op.114, anch’esso dotato di un Adagio da sogno. Figuriamoci gli scongiuri davanti al “Requiem Latino” op. 145 (composizione che l’amico fidato Karl Straube gli fece polemicamente interrompere a metà “Dies irae”) per soli,  coro e orchestra, gemma lumeggiata da un vento armonico di travolgente respiro. E sono soltanto alcuni titoli nella mole dell’opera. Che svela un lancinante innamoramento della vita. La disperazione di non poter dire altro o di più dopo la Grande Musica (Bach, Mozart, Beethoven, Schumann, Brahms, Wagner … ) lo conduce a forzare -con dignità invulnerabile -quei mitizzati confini. Mai a rinnegarli. Piuttosto li distilla, e ne ricava un’essenza musicale altamente concentrata, uno spazio ‘altro’ dove l’armonia e la cadenza sono in continua e sperimentale contestazione di sé stesse e la diffusa micro-modulazione diviene logo inconfondibile di uno stile. Torturato dal dèmone del superamento (e della critica) lavora e gioca lungo una breve vita che si rivela preludio ad un indefinito tempo della Nuova Espressione … egli sa che non attingerà questo mistero ma vi tende con tutte le forze.

Max Reger è una vibrante incisione di Albrecht Dṻrer , ne ha l’arcano e l’anticipatrice scienza profusa. Ha le ombre e le ‘luci determinanti’ (De Logu) di Caravaggio. Spaziando nella metafora del cinema, Max Reger è un Quasimodo (naturalmente Charles Laughton nell’immenso film di William Dieterle, 1939) rintanato e solo nella sua Notre Dame dalla cui altezza veglia e scruta il panorama musicale del mondo, lasciandovi il cuore e trasfigurando lo negli infiniti armonici delle sue campane. Il Max Reger orchestrale -particolarmente le sue Fughe a coronamento . delle Variazioni, una per tutte quella “Su un tema di Mozart” op. 132- lo potete proiettare intensamente in certi fenomeni architettonici , non soltanto coevi al musicista come la Secessione austro-tedesca, ma che richiamino all’improvviso -svoltando l’angolo di un luogo del mondo- la passionale mimesi modificante. La Mole di Torino e il duomo di Novara dell’ Antonelli, possono far scoccare ad es . questa sorprendente parentela tecnico-poetica col musicista bavarese. Così certi scorci in una Milano domenicale di prima estate quando i ritmi e 1’armonia di un edificio liberty come quello, ad es., in via Tommaso Grossi in pieno centro, possono farvi pensare esattamente a Max Reger.

La sua summa organistica poi -trasferendoci nella simbologia della scultura sia iconica che vivente ­rende indubbiamente conto a chi ascolti, di una musicalità ‘anatomica’ e ‘muscolare’. Parliamo di anatomia miologica, da quella con equa curiosa attenzione. può essere l’indirizzo della critica recente, che stigmatizzazione preferisce l’indagine strutturale e lessicale. Ne è l’esempio l’avvincente approccio tentazioni centrifughe di un postbachiano” Luca Salvadori stila sul n° 23 (1998) di Arte organaria e organistica” (Ed. Carrara). Così il musicologo e concertista: appoggi consonanti in questa Introduzione [ Reger: “Suite mi ” op. sono pochissimi e il tono d’impianto è continuamente eluso fino a rendere dubbia la sua reale esistenza, o comunque un Come dicevo prima queste soluzioni tendono ad annullare i riferimenti tonali ma sono comunque tutte chiaramente riferibili a comportamenti tradizionali (basti notare che l’accordo principe di queste continue sterzate è la duttilissima settima diminuìta) .’ è solo la loro altissima densità a rappresentare una novità [ … ]. materiale armonico cosi emulsionato risulta completamente distorto [nella musica di Reger] come in una anamoifosi in perenne movimento di cui non si riesce ad individuare il punto di che dia modo vedere la figura compiuta. [ … ]. contrasto fra l’equilibrio della dottrina contrappuntistica (in cui Reger sembra riporre la massima fiducia) e inquietanti risultati, mi ha fatto tornare in mente il Frankenstein di Mary Shelley. la metafora vi sembra troppo ricordo che la storia di Frankenstein ha incarnato l’infrangersi del sogno che la scienza potesse salvare l’uomo da ogni forma di male, e spirituale, e che persino potesse consentire sconfiggere la morte. Il senso di questa tragica sconfitta mi pare si avverta spesso nell ‘opera di Reger a volte, ad una dolcezza struggente) e, uscendo di metafora, sembra partire dal suo personale conflitto con la tonalità, in prossimità della conclusione della sua parabola storica: Reger non vi volle mai rinunciare tutto ma non riuscì ad evitare il destino trovarsi a narrare un tragico epilogo”.

UN PONTE INGEGNOSO.

Ma torniamo al Reger in vita. Abbiamo visto che da parte dei critici suoi contemporanei, con le solite mirate . e sentenze, subito anatema: li ferì e l’attivismo autopromozionale di un musico tuttofare dall’ aspetto di pletorico Giano bifronte che idolatrava il passato come l’irrequieto presente e però sapeva strattonare il complicandolo e rivitalizzandolo in un folle sforzo di ossigenazione, per non ucciderlo, fargli transitare il ponte verso il futuro. Su quel ponte emozionante, ammirandone le e poderose strutture, passeranno in limousine i suoi primi estimatori, Schoenberg, Berg, Webern, Hindemith, artefici un fortunato futuro musicale con progressive svolte. E non è riconoscimento da passare su ponte, da parte di giovani dissidenti ideologici, ‘dodecafonici’, insomma iconoclasti.

Non cambia il ruolo storico di il fatto che in una lettera a Stradal (31 dicembre 1910) asserisse: “Conosco i tre per piano di ma non arrivo a quella possa ancora dirsi musica non so: il mio cervello è troppo fuori tempo per giudicarne!…”

Ecco Arnold Schoenberg in “Style and Idea” (Ed. Feltrinelli 1975): .. .In effetti, se guardiamo le partiture di Richard Strauss, Debussy, Mahler, Ravel, Reger o anche le mie, può essere difficile stabilire se tutta quella complicazione è realmente necessaria. Ma l’affermazione di un giovane compositore di successo: “La giovane generazione non ama la musica che non comprende” non si concilia coi sentimenti degli eroi che si lanciano nelle avventure. Al contrario, da questa gioventù attratta dalle difficoltà, dal pericolo, dal mistero, potremmo piuttosto aspettarci che dica: sono forse un idiota che non si ha scrupolo di offendere offrendomi delle porcherie che capisco prima ancora di essere giunto a metà? Oppure: questa musica è complicata ma non mi arrenderò finché non l’avrò capita. Naturalmente questo tipo di uomo si entusiasmerebbe soprattutto per la profondità, la ricchezza delle idee, per i problemi difficili “. Nello stesso testo Schoenberg cita con attenzione l’incipit del Concerto di Reger per Violino e Orchestra op. 101 come fascinoso periodo di 5 più 3 battute:

“Bisognava dar vita a una tecnica nuova, e in simile evoluzione Max Reger, Gustav Mahler e anch ‘io giocammo una parte di rilievo ( … ) Una volta dissi: se ciò che scrive Reger è contrappunto, allora il mio non lo è. Avevo torto: lo erano tutti e due … ” Così Schoenberg. Ma anche il musicologo Josef Rufer -nella sua “Komposition mit 12 Tonen” (,’Teoria della composizione dodecafonica” ­Mondatori 1962) rileverà: “Nelle opere tarde di Max Reger si trovano in quantità temi e frasi di nove, dieci, undici e dodici note … cfr. il Quartetto in Fa diesis minore op. 121, l° movimento:

“Questa figura melodica di cinque battute comprende (come vuole il metodo di Schoenberg: senza ripetizioni) dieci della dodici note: la 11 e la 12 (sol e si) appaiono insieme con la decima come accordo conclusivo. Nella Sonata per Violino op. 122 troviamo la frase seguente di undici note; la dodicesima nota mancante appare subito all’inizio nel basso:

“Nel Trio per Archi op. 141 b, il tema principale del primo movimento è di dodici note; (cinque note DO -DO # -RE -SOL -SIb -sono ripetute internamente al tema):

Anton Webern ammirò e diresse il Concerto per pianoforte e orchestra di Reger e il suo Requiem sul poema di Hebbel. Paul Hindemith asseri: “Max Reger era l’ultimo gigante della musica. Senza di lui io non sarei esistito “.

L’ “ORA” DI REGER.

Lo scrittore praghese Max Brod pubblicò nel 1905 il suo romanzo “Tycho Brahes Weg zu Gott”, (” .. . via verso Dio”) dove si narra il sodalizio fra un astronomo, Tycho, e uno scienziato, Johannes. Per il primo lo scrittore prese a modello Max Reger, conosciuto a Praga durante una tournée di concerti.
Per il secondo, Einstein. Nel romanzo, Tycho-Reger intuisce che un’èra nuova sta per nascere e reagisce con un’attività febbrile: deve lasciare dietro di sé una grande opera, un monumento contro . l’oblio. È una realtà regheriana: “Debbo continuare la mia opera, non voglio disperdere tutto questo immenso lavoro No, non voglio ancora morire, no, no, no! ma devo far presto, far presto, far presto infaticabilmente, altrimenti sarà troppo tardi ... Non ho più tempo da perdere”.

Tanto lavoro per una futura bassissima o nulla risonanza mediatica? Ma che importa? Nel sogno della realtà il lavoro mosso dalla passione è riconoscenza. Simone Weil: “Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio che io vedo se ha abitato nel fuoco dell’amore divino, ma dal modo in cui mi parla delle cose terrestri “. Ed Enzo Bianchi: “La verità della fede la si misura sulla verità e sulla bellezza della vita che suscita” (2000). Osserva Friedhelm Krummacher (1987): “La musica di Schoenberg o di Webern, di Stravinsky o di Bartok che non è certo più semplice strutturalmente, è accettata dal pubblico odierno, mentre Reger attende sempre la sua ora”.

Dissentiamo. Reger non ha bisogno di attendere nessuna ora. Sarebbe come attendere l’ora di Gérard de Nerval, di Alfred Kubin, di Lorenzo Calogero … L’ora di Reger non verrà. Giungono le sue luci, i lampi i fulmini i richiami in codice … l’arroccata filosofica solitudine, l’eco di grotte carsiche costellate di spaziali beatitudini e precipizi. Anche la nostalgia di essere vivi in altre infanzie, in antiche camere dove si faceva musica in famiglia in secoli perduti. E, coscienti dell’ineffabilità del suono bianco da lui profetizzato, possiamo soltanto percepire -appunto- l’ossimoro splendente della sua vita: Disperazione e Fede compenetrate in un’idea musicale breve e tormento sa di estrema ricchezza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA TI testo è depositato al M R I in Karlsruhe I Germania; è stato qui pubblicato per esplicito permesso dell’Autore

NOTA. Le citazioni di critica tedesca intorno a Reger e altre notizie sono tratte dai vol!. “Reger-Studio 4” Colloqui franco-allemand -Paris 1987 (Breitkopf u. Haertel) e “Max Reger au seui! de la modemité” (Bouvier 1987) del Max Reger Institut in Karlsruhe, a cura di Susanne Popp e Susanne Shìgihara

Questo francobollo è stato emesso in Germania nel 2023 in occasione del 150° dalla nascita di Max Reger (1873 -1916) e riproduce un settore del trittico pittorico suI musicista (1969 – proprietà M.I.U.) creato da Agostino Raff, autore del presente saggio.

Cavaglio d’Agogna (NO) – L’organo della chiesa di San Mamante

Cavaglio d’Agogna (NO) – L’organo della chiesa di San Mamante

Cavaglio d’Agogna – L’organo della Chiesa di San Mamante

Daniel Maurer

All’organo Serassi (1842) della chiesa di San Mamante a Cavaglio d’Agogna (Novara)

CD Sarx SX 020-2

Le cittadine di provincia italiane conservano spesso organi assai pregevoli ma non sempre in buono stato; qui a Cavaglio d’Agogna, certi del valore del proprio organo Serassi, i cittadini si sono impegnati nel farlo restaurare, in questo caso a Carlo dell’Orto e Massimo Lanzini nel 1996. Per di più, hanno anche provveduto a documentarlo sonoramente facendo incidere un CD a Daniel Maurer, CD che mi è stato cortesemente donato dai restauratori.

Pur esistendo un copioso repertorio per gli organi Serassi come questo (un solo manuale, registri spezzati in bassi e soprani, tastiera con contr’ottava “corta” ecc.) Maurer preferisce esplorare le possibilità foniche dello strumento con un repertorio assai vario, per certi versi sorprendente, con Autori che mai ebbero a che fare con un organo simile. Si comincia con Johann Sebastian Bach, Concerto in Fa Maggiore BWV978; si prosegue con Girolamo Frescobaldi, Canzona dopo l’Epistola, Toccata per l’Elevazione, Toccata Quinta; Bernardo Pasquini, Bergamasca, Toccata con lo scherzo del cucco (praticamente basata sull’intervallo di terza che imita il verso del cuculo); Baldassarre Galuppi, Sonata in Sol Minore; Felix Mendelssohn, Andante con variazioni; Vincenzo Petrali, Versetto per il Gloria n.1, Versetto per il Gloria n.2, Offertorio; Johann Sebastian Bach, Concerto per quattro clavicembali e orchestra BWV1065; si conclude con Anonimus Basiliensis, Fuga sopra un soggetto.

Come si vede, l’unico Autore serassiano “doc” è Vincenzo Petrali, mentre tutti gli altri sono distantissimi dal mondo sonoro dei Serassi. Lo stesso Bach, rappresentato da due concerti che a sua volta egli aveva trascritto dagli originali di Antonio Vivaldi, all’ascolto sembra a suo agio anche sull’organo Serassi grazie alle oculate scelte dei registri operate da Maurer; Frescobaldi, Pasquini e Galuppi riescono alquanto bene anche su quest’organo anche se si sente che si tratta di uno strumento più moderno di quelli che i tre Autori avevano a disposizione. Contemporaneo dell’organo, Mendelssohn sembra venire molto bene su di esso; il Tema e variazioni riesce particolarmente adatto allo strumento nell’interpretazione di Maurer. La Fuga finale è un’improvvisazione fatta come “bis” al concerto d’inaugurazione del restauro da Maurer stesso, basata sul tema della Pantera Rosa di Henry Mancini.

Sulle interpretazioni di Maurer il giudizio complessivo è ampiamente positivo: fa ascoltare il brillantissimo ripieno, l’abbondante batteria di ance, la profondità dei registri di Fondo; non mancano perplessità quale la Toccata per l’Elevazione di Frescobaldi suonata imperdonabilmente con la Voce Umana, registro inesistente sugli organi suonati da Frescobaldi e diffuso solo oltre cento anni dopo la sua scomparsa. Piacevoli invece i piccoli rubati nei Concerti Bachiani e nella Sonata di Galluppi e suggestiva l’interpretazione del Tema e Variazioni di Mendelssohn.

Il libretto, in Italiano, Inglese, Francese e Tedesco, riporta la storia dell’organo, note critiche sulle musiche eseguite, il curriculum dell’organista e la scheda tecnica dell’organo. La copertina mostra l’organo visto a 45° e la quarta di copertina riporta la foto dell’organista. All’interno del libretto c’è una foto in b/n della consolle con l’identificazione dei tasti della contr’ottava corta della pedaliera.

Consigliato ai cultori dell’organo Serassiano (ce ne sono molti) e soprattutto di quelli ben restaurati.

Ottobre 2023

Graziano Fronzuto

NANCY – L’organo della chiesa di San Sebastiano

NANCY – L’organo della chiesa di San Sebastiano

NANCY – L’organo della chiesa di San Sebastiano

Louis Vierne – Sinfonie 3 e 6

Bruno Mathieu

All’organo Dalstein-Haerpfer della chiesa di San Sebastiano a Nancy

CD Naxos “The Organ Encyclopedia” 8.553524

Nancy è una città piuttosto importante della Francia dell’Est, è nota per il suo impianto planimetrico improntato dall’edilizia barocca, che rimodernò la città al tempo in cui vi era duca Stanislao Leczinsky, spodestato re della Polonia e che venne ristorato dalla perdita del trono col ducato di Nancy. Fra le piazze importanti della città c’è la piazza del Mercato, tuttora con questa funzione, su cui si affaccia la chiesa di San Sebastiano.

L’organo di questa chiesa è stato scelto da Bruno Mathieu per l’incisione delle Sinfonie 3 e 6 di Louis Vierne. Si tratta di due opere monumentali, articolate in cinque movimenti ciascuna e ci mostrano Vierne nel suo periodo di massimo splendore (la 3^) e dell’alta maturità (la 6^, che è anche l’ultima Sinfonia per Organo scritta dall’Autore).

La Sinfonia n.3 op. 28 in Fa # minore è stata scritta nel 1911 e dedicata “all’allievo e caro amico Marcel Dupré” che certamente si sarà sentito onorato della dedica di un pezzo tanto difficile quanto bello; si articola in Allegro maestoso, Cantilena, Intermezzo, Adagio, Finale con continui crescendo e diminuendo, forte e piano ed ogni altro possibile contrasto che Mathieu rende molto bene anche se un po’ di rubato in più oltre a quello che c’è non avrebbe guastato.

La Sinfonia n.6 op. 59 in Si minore è stata scritta nell’estate 1930 in un soggiorno sul Mediterraneo (a Mentone) del Maestro e fu suonata per la prima volta a Nôtre-Dame a Parigi dall’allievo di Vierne Maurice Duruflé e dedicata all’organista Nuovayorkese Lynwood Farnam, noto virtuoso ed amico dell’Autore. Si articola in Introduzione e Allegro, Aria, Scherzo, Adagio, Finale e come si vede l’articolazione dei movimenti è affine a quella della 3^ Sinfonia. Qui i contrasti sono portati alle estreme conseguenze ma sono nel complesso all’ascolto più dolci di quelli della 3^ Sinfonia; qui Mathieu utilizza di più e meglio il rubato e non si potrebbe chiedere di meglio.

Il libretto è in Inglese, Tedesco e Francese e riporta una biografia di Vierne, note critiche su ciascuna delle Sinfonie, la disposizione fonica dell’organo e un breve curriculum dell’organista (in Inglese e Francese, in Tedesco non c’è). Purtroppo non c’è la foto dell’organo che pure ha una notevole cassa monumentale degna di figurare in copertina, dove invece troviamo un dipinto della facciata della chiesa sul prospiciente mercato.

L’organista misura assai bene i registri per ogni pezzo (avendo a disposizione un organo 46/III), pur rispettando le puntuali prescrizioni di Vierne, che aiutano fino a un certo punto (non dimentichiamoci che Vierne aveva a disposizione l’organo Cavaillé-Coll di Nỗtre-Dame di Parigi con oltre 110 registri distribuiti su 5 manuali e pedaliera) ma sono indispensabili per suonare bene i suoi brani.

Così si odono i bellissimi Fondi 8’ dell’organo, le sue ance, le sue misture, i passaggi da PPP a FFF e viceversa che caratterizzano alcuni brani, si percepisce anche l’atmosfera idillica e sognante della Cantilena e dell’Aria i progressivi crescendo fino agli FFF dei Finali.

In conclusione, il CD è veramente godibile e -anche se un po’ di “rubato” in più non avrebbe guastato- e offre un’ampia panoramica sul Vierne “maggiore” delle Sinfonie. Consigliato a chi ama Vierne (e sono molti) e la musica francese a cavallo tra il XIX e il XX sec.

Ottobre 2023

Graziano Fronzuto