da Graziano Fronzuto | 5 Feb, 2016 | Musica
Stefano Romano è stato battezzato a Napoli il 7 gennaio 1928 nella parrocchia di Santa Maria della Consolazione a Villanova – Posillipo (costruita dall’architetto Sanfelice), nato nella settecentesca Villa Patrizi in una famiglia della piccola borghesia, da genitori molto attenti alla crescita culturale, spirituale ed artistica dei propri figli. Il padre,che aveva fatto la prima Guerra Mondiale come bersagliere, e la madre con ben undici figli di cui l’ottavo fu proprio Stefano.
Per la quotidiana frequentazione di Villa Patrizi, ebbe come sommo benefattore ed educatore il cappellano dei marchesi Patrizi, padre Carlo Massa dei baroni di Galugnano, che celebrava quotidianamente la Messa nella cappella della villa, il quale fu fondamentale e determinante per la vita futura di Stefano Romano sia per la formazione religiosa che per lo sviluppo della sua personalità artistica.
Sempre per la quotidiana frequentazione di Villa Patrizi entrò in contatto in primissimo luogo con Livio, figlio di Agostino Patrizi e della marchesa Elisa Stevens, nato talento eccezionale di pianista ed allievo di pianoforte di Emilia Gubitosi che lo introdusse nella casa Gubitosi/Napolitano. Conservò l’amicizia con Livio Patrizi fino alla sua tragica fine. Per questa frequentazione entrò in contatto con membri dell’alta nobiltà di Napoli e dell’arte napoletana tra cui Bruno Canino, Francesco d’Avalos, i marchesi Carignani, i duchi del Pezzo di Caianello, la baronessa Franceschina Coppola-Picazio, la nobildonna Margherita Martelli di Soffiano (Firenze).
Dopo gli studi classici, ha frequentato la Pontificia Facoltà Teologica di Capodimonte Sez. San Tommaso d’Aquino ed è stato ordinato sacerdote dall’indimenticato Cardinale Marcello Mimmi. Negli stessi anni ha dimostrato una grande sensibilità verso la Musica Sacra ed un precoce talento musicale; dopo i primi studi con il maestro del duomo di Napoli Fortunato Scalella, fu accolto nel Conservatorio “San Pietro a Majella” da Franco Michele Napolitano, Alessandro De Bonis, Gennaro D’Onofrio ed Emilia Gubitosi, vi ha conseguito i Diplomi in Organo, Pianoforte e Composizione sotto la guida di valenti insegnanti tra cui, oltre ai suddetti, Renato Parodi e Domenico D’Ascoli ed anche, per breve tempo, Vincenzo Vitale.
Ha poi partecipato a vari corsi di perfezionamento sotto la guida di Fernando Germani e Luigi Dallapiccola presso l’Accademia Chigiana di Siena. E’ stato assistente ecclesiastico del Comitato Napoletano “Messa dell’Artista” e Presidente della Commissione di Musica Sacra presso la Curia Arcivescovile. Ha insegnato nei Conservatori di Foggia, Napoli ed Avellino. E’ Ispettore Onorario del Ministero dei Beni Culturali e membro della Commissione nazionale di organologia, nonchè Direttore del Segretariato Organologia dell’Associazione Italiana Santa Cecilia (A.I.S.C.).
Ha propugnato la conservazione degli organi storici e la costruzione di organi nuovi con criteri rigorosi ed artistici, affrontando a viso aperto le numerose opposizioni. Va ricordata la sua continua battaglia combattuta in ogni occasione (convegni, incontri, scambi epistolari ecc.) contro l’esodo di tantissimi organi napoletani venduti -o, più spesso, svenduti- dai titolari di chiese ed istituti ad antiquari, collezionisti ed appassionati di ogni parte del mondo; va anche ricordata la sua dura requisitoria contro i restauri poco rispettosi condotti da organari senza scrupoli e privi di ogni senso artistico.
Ha pubblicato monografie su organi storici di notevole interesse artistico, nonché articoli e saggi di argomento musicale e religioso. In alcuni scritti ha reso ampia giustizia a brani religiosi di lunga tradizione oggi sottoposti ad ingiustificate censure ed ha saputo sfatare luoghi comuni e dicerie con ricerche documentali ineccepibili e con uno stile espositivo di rara chiarezza e forza espressiva.
Ha unito all’attività di docente, di studioso e di scrittore un’intensa carriera concertistica che ne ha rivelato le qualità di finissimo e rigoroso interprete, soprattutto nel campo della musica dei maestri napoletani, dai quali ha ereditato in linea diretta la cultura e la sensibilità artistica.
Molti suoi allievi sono oggi apprezzati organisti e noti musicisti, contribuendo a confermarne la fama di caposcuola e degno successore del maestro Napolitano.
Anche nella sua famiglia non mancano talenti artistici di particolare bravura come i suoi nipoti David Romano (violinista) e Diego Romano (violoncellista), professori dell’orchestra sinfonica nazionale “Santa Cecilia” di Roma la cui madre, Marisa Carretta-Romano, è rinomata insegnante di pianoforte al Conservatorio di Napoli. Sono tra l’altro fondatori del sestetto “Stradivari”, che si esibisce con pregevolissimi strumenti.
L’instancabile attività di Stefano Romano è stata temporaneamente interrotta a causa di problemi di salute nel giugno 2002, ma alcuni mesi dopo egli riprendeva l’attività artistica, grazie alla sua incrollabile fede ed all’innata forza di volontà.
Sicuramente la sua opera saggistica più impegnativa e che più di tutte testimonia la sua lunghissima carriera artistica e la sua autentica competenza in materia non solo musicale ma anche storica, artistica, culturale e religiosa, è il trattato “L’Arte Organaria a Napoli” in due corposi volumi, il primo dei quali, pubblicato nel 1979, raccoglie l’attività instancabile di studio, catalogazione, ricerca bibliografica e sul campo condotta tra enormi difficoltà nel corso di decenni. In esso sono descritti gli strumenti presenti a Napoli, nelle condizioni in cui si trovavano prima del terremoto del 1980. Nel secondo volume, pubblicato nel 1990, viene completato l’orizzonte con gli organi delle aree periferiche dell’Arcidiocesi di Napoli, con un gran numero di fotografie a colori; l’appendice, inoltre, contiene la trascrizione integrale del rarissimo trattato di registrazione che l’organaro Giovanni Favorito scrisse come “libretto illustrativo” delle possibilità foniche dell’organo a 3 manuali da lui costruito per la chiesa di S. Carlo all’Arena, organo purtroppo distrutto da un incendio nel 1923. Quest’opera -oltre ad essere una sicura fonte di riferimento- rappresenta un prezioso ed insostituibile database degli organi napoletani e di tante opere d’arte presenti nelle medesime chiese, alcune di esse purtroppo non più visibili – http://www.liberexitcultura.it/?p=2423.
L’indimenticato Mons. Luigi Maria Pignatiello, direttore dell’Ufficio Catechistico della Curia di Napoli, nel recensire l’opera del Maestro Romano così titolò: “Un’opera che onora il Clero e la Cultura di Napoli”. Lo stesso Romano ha fatto della sua opera doverosissimo omaggio ai sommi pontefici S.Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Nel “Piccolo Diario Musicale”, invece, Romano raccoglie alcune sue pregevoli composizioni musicali per organo, pianoforte, ensembles cameristici e vocali. L’opera ha avuto una lusinghiera recensione da parte di Mons. Luciano Migliavacca, per oltre quarant’anni Maestro di Cappella del Duomo di Milano e direttore del Segretariato Compositori dell’A.I.S.C., “chi conosce don Romano all’A.I.S.C. e lo ascolta parlare di organi, organologia, restauri, comprende che si trova davanti ad un esperto: è così ma non è soltanto così: Stefano Romano a chi legge ed esegue le varie pagine del Diario, appare come un vero autentico compositore”. Il maestro Migliavacca, per decisione unanime del Comune di Milano ha avuto inciso il suo nome nel Famedio Cittadino.
Stefano Romano ha poi dimostrato la sua competenza in occasione di diverse consulenze organologiche tra cui la ricostruzione dell’organo di destra della Chiesa del Gesù Nuovo, i restauri di pregevoli organi storici napoletani (S. Maria Piedigrotta, Basilica di Capodimonte, ecc.). Ha collaborato alla costituzione del Museo degli Organi Storici Napoletani raccogliendo strumenti lasciati in stato di abbandono e degni di ripristino.
Degno di rilievo altro episodio: con l’autorizzazione del Cardinale Michele Giordano, all’epoca Arcivescovo di Napoli, si prelevò dal predetto Museo degli Organi Antichi di Capodimonte un positivo costruito dall’organaro napoletano Domenico Curci nella seconda metà dell’ottocento; il restauro fu curato dalla Ditta di Enrico Vegezzi-Bossi e Bartolomeo Brondino di Centallo (CN); le spese furono affrontate dalla Augustissima Arciconfraternita della SS.Trinità e dei Pellegrini e dei Convalescenti di Napoli (a quel tempo con primicerio l’ing. Vincenzo Carpio). L”organo fu collocato nella cappella Materdomini (chiesa inferiore dei Pellegrini) e il concerto fu eseguito alla presenza del Cardinale Giordano. Lo strumento è stato opportunamente affidato in comodato alla ricordata Arciconfraternita. Lo stesso Stefano Romano ha curato e documentato una monografia sull’episodio, per lunghi anni egli è stato organista dell’Arciconfraternita (nella Chiesa Grande -disegnata da Carlo Vanvitelli- c’è un organo Tamburini).
Di fronte alla diversità e alla molteplicità delle interpretazioni dei docenti e delle edizioni tipografiche di opere di antichi autori -specialmente di J.S.Bach- il nostro ha deciso di dare un suo contributo con la traduzione in lingua italiana del fondamentale trattattello di Walter Emery edito da Novello – Londra “Gli abbellimenti di Bach” edito da E.S.I. – Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli, con la collaborazione dell’ing. Giovanni Vitagliano e del maesro Luigi Ferdinando Tagliavini che ne ha curato la prefazione.
Ha poi scritto un trattato sull’Ave Maria di Schubert, sfatando numerosi luoghi comuni spesso diffusi anche presso il clero, che ne travisano il testo, lo spirito e l’espressività musicale.
Colpito dal fatto che a disposizione degli studenti del conservatorio “S.Pietro a Majella” di Napoli non vi fosse un organo storico di fattura napoletana, Stefano Romano ha preso l’iniziativa di salvare uno storico organo costruito da Cimino nella seconda metà del XVIII secolo e conservato nella cappella della confraternita di S. Margherita a Fonseca. L’iniziativa è stata accolta con favore da Roberto De Simone (allora direttore del Conservatorio) e attuata con il sostegno fattivo ed economico del sindaco del Comune di Napoli Antonio Bassolino.
“Vago e Dolce Concento – L’arte di sonar l’organo a Napoli” è, infine, un raro CD, pubblicato nel 2003, contenente diversi brani registrati alla consolle del già citato organo Rossi 1769 della Basilica di Capodimonte. Edito in numero limitato di copie dalla Ditta Visual Arts di Gaeta, è attualmente l’unica incisione discografica contenente musica di autori napoletani interpretata da un organista napoletano su di un organo napoletano conservato a Napoli.
Il 22 novembre 2008 –festa di Santa Cecilia– ha ricevuto il premio di “Organista di Chiesa” dell’anno da parte dell’Associazione Italiana Organisti di Chiesa, giusto coronamento di una lunghissima carriera di organista a servizio della Chiesa.
Tra le sue ultime fatiche letterarie ricordiamo due pregevoli saggi: “La chiesa di S. Stefano al Vomero. Dall’Archivio di una Chiesa di Campagna” (Ed. Ecclesiae Domus, Napoli, 2009) – http://www.liberexitcultura.it/?p=2376 – e “Domenico Antonio Rossi. Organaro, Napoli 1769. Racconta” (2012).
febbraio 2016
Graziano Fronzuto
N.B. nelle fotografie: Don Stefano Romano all’organo Balbiani di San Gioacchino a Via Orazio a Napoli, da lui stesso progettato; durante l’inaugurazione del restauro dell’organo Pacifico Inzoli di San Rocco a Pietramelara (CE); alla consolle dell’organo Mascioni di Santa Chiara a Napoli, progettato da Fernando Germani.
APPENDICE
Nonostante l’età molto avanzata, nel 2021 Stefano Romano ha dato alle stampe un ulteriore suo contributo alla musica di Napoli: “Gerolamini – Archivio Musicale – Documenti Memorie Testimonianze”, un trattato di oltre 470 pagine in cui ha raccolto oltre al catalogo delle partiture conservate nel monastero dei Gerolamini a Napoli compilato da Salvatore di Giacomo una serie di memorie, testimonianze, documenti di ogni tipo riguardanti soprattutto la sua attività musicale e le persone in vista con cui ha avuto rapporti nella sua lunga vita. Dopo pochi mesi da questa fatica letteraria, Don Stefano Romano si è spento il 25 marzo 2022 -Solennità dell’Annunciazione- a 94 anni di età e qui ne faccio doverosa e sentita memoria.
Le esequie sono state celebrate il 26 marzo 2022 nella sua parrocchia di appartenenza: San Vincenzo Pallotti. Per questa chiesa don Stefano Romano aveva chiesto alla Curia Arcivescovile di trasferire un organo integro abbandonato in una confraternita del centro di Napoli, a sue spese, ma senza mai ricevere risposta. Così per la musica ci si è dovuti accontentare dell’organo elettronico Devreaux presente in chiesa, suonato magistralmente dal suo allievo Giorgio Muto con l’assistenza dell’organaro Gian Marco Vitagliano.
Marzo 2022
Graziano Fronzuto
da Graziano Fronzuto | 21 Mag, 2015 | Musica
Registri
I Manuale – Grand’Organo
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Unioni e Accoppiamenti
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1 Principale 16’
2 Principale 8’
3 Flauto 8’
4 Dulciana 8’
5 Ottava 4’
6 Sesquialtera 2 file
7 Decimaquinta 2’
8 Ripieno 5 file
9 Tromba 8’ |
10 Unione Manuali
11 Unione I – P
12 Acuta I – P
13 Unione II – P
14 Acuta II – P
15 Acuta I
16 Grave II – I
17 Acuta II – I
18 Acuta II |
II Manuale – Espressivo
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Pedale
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19 Principale 8’
20 Bordone 8’
21 Viola 8’
22 Celeste 8’
23 Ottava 4’
24 Flauto 4’
25 Nazardo 2’2/3’
26 Flautino 2’
27 Decimino 1’3/5’
28 Ripieno 3 file
29 Trombina 8’
30 Tremolo |
31 Contrabbasso 16’
32 Basso 8’
33 Subbasso 16’
34 Bordone 8’
35 Flauto 4’
36 Bombarda 16’
37 Tromba 8’
38 Tromba 4’
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Annulli
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A Ance
A Ripieni
A 16’ Man.
A Gravi
A Acute |
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Accessori
4 Combinazioni Fisse a Pistoncino,
4 Combinazioni Libere Generali a Pistoncino richiamabili da Pedaletti,
Pistoncini di Richiamo Unioni8’richiamabili da Pedaletti
Staffa Crescendo Generale
Staffa Espressione
Pedaletti per Ripieno I e II, Ancia, Tutti
Pistoncini del Pedale Automatico;
Estensione
Tastiere di 61 note (Do–Do); Pedaliera di 32 note (Do–Sol).
Collocazione
In 2 corpi ai lati dell’Altare, verso l’Abside, che occupano due nicchioni con balconcini a mo’ di Cantorie.
Trasmissioni
Elettriche parzialmente rifatte da Guido Pinchi (1988).
Mostra
Ciascun Corpo ha una Mostra in zinco8’con disegno a cuspide con ali laterali.
Storia
La chiesa di San Marco è stata fondata contestualmente alla città di Latina nel 1932, e, come gran parte degli edifici della città, fu progettata dall’architetto Oriolo Frezzotti (Roma, 1888–1965). Fu la prima parrocchia della nuova città, e i PP. Salesiani ne presero possesso il 27 ottobre 1933 su espresso desiderio di Papa Pio XI (e si narra che S. Giovanni Bosco nei suoi sogni profetici aveva visto la nascita della provincia pontina). Successivamente Latina fu nominata sede vescovile insieme a Terracina, e S. Marco divenne concattedrale della diocesi appunto nominata “Terracina e Latina”.
La chiesa fu subito ornata da notevoli opere d’arte, tra cui una bella statua di S. Antonio che fu trasportata da Latina Scalo su un carro trainato da dodici buoi, con una reliquia del Santo donata dai religiosi di Padova, e i notevoli mosaici di tre angeli che ornavano l’abside (erano sulle murature tra le finestre absidali); ma andarono perdute a causa del bombardamento aereo americano del 1944. Si salvò invece l’alto campanile con le sue tre campane con decorazioni ed iscrizioni a rilievo e con la statua in bronzo dorato della Madonnina che lo sormonta, copia di quella del Duomo di Milano, donata dal R.A.C.I. (Reale Automobil Club Italiano) di Milano nel 1936; e si salvò anche la scenografica facciata sormontata dalle statue dei quattro Evangelisti, opera di Francesco Barbieri, scolpite in pietra di Veio su basamento di travertino.
Con solenne cerimonia presieduta dal cardinale Clemente Micara, il 12 giugno 1955 fu inaugurata la statua di S. Maria Ausiliatrice, dello scultore Nicola Arrighini di Pietrasanta, in marmo statuario, la cui sistemazione fu studiata dal geometra Amedeo Presutti del Comune di Latina (realizzazione di una alta stele in travertino e peperino alta circa12 m, con una fontana alla base realizzata utilizzando elementi della fontanella già esistenti in loco).
Nel 1967 fu anche realizzato un organo, commissionato all’organaro Libero Rino Pinchi. Come altri strumenti dell’organaro, anche questo, pur avendo molti registri reali, aveva molti timbri violeggianti, tuttavia v’era una certa logica ed un certo equilibrio fra i manuali, grazie soprattutto al Ripienino e al robusto Principale 8’ del II Manuale. Purtroppo, il Pedale era relativamente debole.
Queste scelte foniche di Libero Rino Pinchi furono parzialmente modificate dal figlio Guido con l’intervento del 1988, soprattutto col potenziamento delle ance e l’aggiunta di quelle del pedale.
La cattedrale è stata poi ulteriormente abbellita dopo il 2001, per opera del parroco don Roberto Colameo, con le vetrate dei finestroni della controfacciata (realizzate nel 2002 dalla ditta ARTENELVETRO di Carmela Padovano e Totò, Latina Scalo), i seggi del coro in legno intagliato, il nuovo altare maggiore e il crocifisso sospeso nel catino absidale.
Riporto infine la disposizione originale dei registri
I Manuale – Grand’Organo |
II Manuale – Espressivo |
Pedale |
Principale 16’
Principale 8’
Flauto 8’
Dulciana 8’
Ottava 4’
Unda Maris 2 file 8’
Decimaquinta 2’
Ripieno 5 file
Tromba 8’
|
Principale 8’
Bordone 8’
Viola 8’
Celeste 8’
Salicionale 8’
Flauto 4’
Ottava 4’
Nazardo 2’2/3’
Flautino 2’
Ripieno 3 file
Oboe 8’
Voce Corale 8’
Tremolo |
Contrabbasso 16’
Principale 16’
Subbasso 16’
Basso 8’
Bordone 8’
Ottava 8’
Flauto 4’
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N.B.
I Manuale: il Registro Unda Maris2 f.8’è stato sostituito dalla Sesquialtera 2 file (2’2/3’+1’3/5’)
II Manuale: il Registro Salicionale 8’ è stato sostituito dal Decimino 1’3/5’
il Registro Tromba 8’ del G.O. è stato trasferito all’Espressivo e chiamato “Trombina” in quanto la sua intonazione era relativamente “dolce” mentre l’Oboe 8’ è stato sostituto dalla Trombina 8’.
La Tromba 8’ del G.O. attuale è stata costruita ex–novo (con tube in rame e intonazione più robusta).
Il Registro “Voce Corale” è stato rimosso.
da Graziano Fronzuto | 10 Mar, 2015 | Musica
L’ORGANO DEL DUCA FERRANTE CARACCIOLO D’AIROLA
di Graziano Fronzuto
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Grande Organo Andrea Bassi da Ravenna (1679–85)
Chiesa della SS. Annunziata – AIROLA (BN)
Tra famiglie nobili esistono vari segni di distinzione, tra cui uno dei più importanti è l’antichità della casata e un altro non meno importante è la ramificazione della casata verso altre famiglie, feudi, città e territori.
Molte famiglie nobili antichissime non hanno avuto discendenti diretti fino ai giorni nostri e dunque sono considerate “estinte”, ma altre sono tuttora esistenti ed hanno numerosi rami floridi. Tra queste, la famiglia Caracciolo è senza dubbio una delle più nobili e più antiche casate del Meridione, con numerose ramificazioni.
I CARACCIOLO E I LORO FEUDI
Non è possibile parlare qui della storia plurisecolare dei Caracciolo, molti dei quali hanno avuto ruoli importanti nella propria epoca per cui è arduo citare alcuni personaggi (sia uomini che donne) piuttosto che altri: condottieri, nobili, cavalieri, artisti, religiosi ecc.. Il capostipite accertato è stato il patrizio Teodoro Caratiolus vissuto a Napoli nel X sec. il quale, sposando la nobile Urania, diede origine alla famiglia; nel XV sec.
Successivamente alcuni dei numerosissimi rami presero cognome autonomo (per esempio, Gregorio Caracciolo sposò Maria Pignatelli e diede vita alla famiglia Caracciolo–Carafa, poi solo Carafa). Alcuni condottieri diedero la vita per la propria patria: tra questi il Duca Errico Caracciolo “Stirasso”, famoso guerriero del XV sec. il cui sepolcro è nell’Annunziata di Gaeta; il generale Emanuele Caracciolo, Duca di San Vito (nato a Napoli l’8 maggio 1805 e morto il nobile durante l’assedio di Gaeta il 12 dicembre 1860: il suo monumento funebre è nella Cattedrale di Gaeta, e tuttora mani pietose ogni tanto vi depongono fiori); e soprattutto il fervente patriota ed ammiraglio Francesco Caracciolo (1752–1799) che aderì alla Repubblica Partenopea del 1799 e pagò con la vita la fedeltà ai suoi ideali: giustiziato con insensata ferocia da Lord Horatio Nelson col consenso di re Ferdinando I.
Per ogni approfondimento si rimanda al sito curato dagli scrupolosissimi studiosi Davide Shamà e Andrea Dominici Battelli, con la descrizione delle maggiori famiglie nobili italiane (ed in particolare questa):
http://www.sardimpex.com/anteprime/anteprimacaracciolo.htm
Ecco la pagina dedicata ai Duchi Caracciolo d’Airola:
http://www.sardimpex.com/caracciolo/Caracciolo-Airola.htm
Mentre per l’ammiraglio Francesco Caracciolo (alla cui memoria è intitolato il magnifico lungomare di Napoli):
http://www.repubblicanapoletana.it/caracciolo.htm
AIROLA
Airola è al centro dell’ampia Valle Caudina, fertile distesa ai piedi di alte montagne, ed è sempre stata interessata da intensi traffici commerciali (soprattutto con il beneventano, ma anche con il foggiano ed il molisano). Perciò fu per molti secoli teatro di guerre, con invasori che si trovarono a fronteggiare il fiero coraggio delle popolazioni locali (i Sanniti, proprio quelli che fecero subire ai Romani l’onta delle Forche Caudine: Seconda Guerra Sannitica – dal 326 al 304 a.C.) con cui convenne poi allearsi piuttosto che tentarne la sottomissione. Raggiunta la pace con Roma, la prosperità del luogo proseguì fino alla caduta dell’Impero Romano.
I nuovi dominatori del beneventano –i Longobardi– eressero quindi un castello. Così la città fu difesa (e al contempo dominata) da questa ampia fortificazione eretta sulla collina di Monteoliveto; ulteriori fortificazioni furono eseguite dai fratelli Guglielmo e Ugone di Cortillon, nominati feudatari dal re di Napoli Carlo I d’Angiò nel 1276.
Nel primo rinascimento, durante la guerra tra Alfonso d’Aragona e Renato d’Angiò, Airola fu espugnata e saccheggiata dagli Aragonesi (1437) che successivamente imposero come signore della città Carlo Carafa, discendente dei Caracciolo, creato Conte d’Airola (1490). Airola fu poi ceduta alla famiglia d’Avalos e, dopo l’assedio della rocca (1517) e ulteriori periodi di instabilità, finalmente, nel 1575, fu acquistata da don Ferrante Caracciolo figlio di Marcello Caracciolo (fedelissimo dell’Imperatore Carlo V il Grande).
Egli, insediatosi col titolo di Ferrante I Caracciolo d’Airola (cioè primo Duca d’Airola della famiglia Caracciolo), diede impulso ai commerci e all’esportazione dei prodotti locali verso Napoli e verso le maggiori città del Regno, assicurando alla propria famiglia e alla città un periodo di particolare prosperità, che proseguì anche dopo la sua morte (1596). Infatti –in quel periodo di relativa pace– i vasti possedimenti terrieri (coltivazioni, pascoli, vigneti) e le ricche sorgenti d’acqua (massiccio del Taburno e suo bacino idrico) poterono finalmente essere utilizzati con profitto dagli operosi abitanti per l’agricoltura, il commercio, il pascolo e la vinificazione.
Nel 1608 favorirono l’insediamento dei monaci Benedettini della Congregazione di Montevergine, che costruirono il proprio monastero (con ampi aiuti della famiglia ducale) sotto forma di grande palazzo barocco –Palazzo Montevergine appunto– sviluppato su due ali con al centro la Chiesa di S. Maria del Carmine.
La pestilenza che colpì molte regioni del Regno di Napoli (1656) determinò una grave crisi; persino le campagne non poterono essere coltivate per mancanza di uomini per molto tempo. La ripresa non tardò a venire (sotto il ducato di Ferrante III, durante il quale fu realizzato l’organo di cui parliamo).
La famiglia Caracciolo d’Airola mantenne il possesso del feudo fino all’ultima rappresentante, la duchessa Antonia, alla cui morte (1732) il feudo passò in eredità al nipote Bartolomeo di Capua principe della Riccia. Quest’ultimo morì senza eredi ed il feudo di Airola fu acquisito direttamente dal Regio Demanio: in pratica, a chiusura di una linea di discendenza, il titolo di signore della città ritornava a chi l’aveva concesso (cioè il re).
L’ACQUA DEL TABURNO
All’epoca (1750), il re di Napoli era Carlo di Borbone che stava riorganizzando il regno con importanti riforme e, a soli 20 km di distanza da Airola, stava facendo realizzare la grandiosa reggia di Caserta su disegno del suo architetto di fiducia Luigi Vanvitelli. Il re voleva un giardino ricco di enormi fontane, vasche e cascate (come Versailles e Vienna) ma gli veniva opposto il problema tecnico di dove trovare tutta l’acqua necessaria. La piana casertana era ricca d’acqua sorgiva ma pressocché stagnante (palude “dei Mazzoni”, definitivamente bonificata solo durante i grandi lavori del 1930) e non esistevano motori per poterla aspirare e spingerla in alto alla quota necessaria; nemmeno c’erano grandi fiumi da cui spillare l’acqua tramite canali artificiali.
L’unica soluzione era di utilizzare sorgenti in quota, per quanto lontane. Così il re, venuto in possesso del feudo di Airola, decise di sfruttare le acque del massiccio del Taburno che sarebbero state incanalate in un acquedotto e portate nei giardini della reggia. Ciò significava privare di quell’acqua la popolazione locale con gravi conseguenze economiche sulle attività del posto! Le proteste di Airola furono fortissime, così il re, per contropartita, innalzò Airola al rango di città con tutti i benefici che questo significava (possibilità di creare una cinta daziaria e imporre tributi alle merci in transito, esenzione da alcune tasse, privilegi sui commerci ecc.).
Lo stemma di Airola, che rappresenta la Torre del Castello arrembata da grifi rampanti e protetta dalla croce; lo stemma è sormontato dalla corona turrita che in araldica rappresenta il rango di Città; tale rango fu concesso ad Airola dal re Carlo di Borbone a seguito dell’esproprio delle acque del Taburno
L’acqua del Taburno fu così incanalata in un enorme acquedotto progettato dal Vanvitelli, una delle massime opere d’ingegneria idraulica mai realizzate dopo l’epoca romana. Oltre alle lunghissime gallerie scavate nella viva roccia, l’acquedotto attraversa la Valle Caudina con un enorme manufatto in mattoni (i cosiddetti “ponti della Valle di Maddaloni”) alto ben 97 metri (tuttora esistente e tuttora funzionante).
L’acqua serviva quindi ad allietare i giardini della reggia (oltre alle fontane tuttora ammirate, vi era anche un “organo idraulico” come quelli attualmente restaurati e funzionanti del Giardino del Quirinale a Roma e di Villa d’Este a Tivoli), ma secondo il progetto del Vanvitelli doveva poi essere nuovamente raccolta ed indirizzata in un canale verso Napoli. Questo canale non fu mai realizzato, e l’acqua fu utilizzata per scopi irrigui nella piana casertana.
1) L’acquedotto vanvitelliano in un disegno di Luigi Vanvitelli
2) L’acquedotto vanvitelliano allo stato attuale
LA STORIA RECENTE
Airola seguì il destino del Regno di Napoli, fino all’Unità d’Italia (1861). In particolare, il decreto di re Gioacchino Murat di soppressione dei monasteri (1809) colpì i monaci benedettini del Palazzo di Montevergine che, pochi anni dopo (1820) fu ceduto al Comune di Airola (dal 1890 l’ala sud divenne caserma dei Carabinieri, l’ala nord divenne sede di uffici pubblici: del Comune, della Polizia Municipale, dell’Istituto Professionale e della Protezione Civile).
Negli anni più recenti, oltre alle attività legate all’agricoltura, vi fu un certo sviluppo industriale di alta specializzazione (per es. un importante stabilimento di costruzione di cavi elettrici, purtroppo chiuso ormai da vari anni).
Il terremoto del 1980 produsse danni gravissimi alla città ed ai suoi monumenti, fin quasi a disperare che sarebbero stati mai restaurati. L’impegno di alcuni illuminati amministratori cittadini (che mai si arresero alle infinite difficoltà della ricostruzione) fece sì che le opere di restauro fossero portate a termine in una quindicina d’anni. Attualmente Airola è una città non priva di fascino, ben tenuta e che non manca di riservare sorprese ai visitatori. Purtroppo è solo sporadicamente interessata da flussi turistici, e ciò è un peccato perché la città vale davvero una visita approfondita!
LA CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA
Per descrivere questo eccelso monumento occorre tornare alla fine del XVI sec. ed immedesimarsi nella religiosità del tempo: ciò per poter comprendere che il benessere raggiunto sotto il ducato di Ferrante I fu interpretato come benevolo segno della Provvidenza. Così le Autorità civili e religiose del luogo, con il sostegno della famiglia ducale, decisero di rendere tangibile la loro gratitudine alla SS. Annunziata. Ciò fu fatto completando in forme monumentali la chiesa ad Ella dedicata la cui fondazione risaliva al 1562.
Così la chiesa fu realizzata in forme monumentali, con pianta a croce latina articolata su tre navate e transetto, e completata da un’abside quadrata. Il repertorio decorativo che vi fu realizzato è stupefacente per ricchezza e bellezza, ed è opera dei massimi artisti del Regno di Napoli, qui convocati dalla famiglia ducale, che fu promotrice e donatrice di gran parte delle opere.
Da ricordare: il magnifico soffitto cassettonato (1622) in cui sono incastonate tele a soggetto sacro dipinte da Paolo Domenico Finoglia; i 14 altari laterali, le cui decorazioni marmoree furono realizzate tra il 1721 e 1722, ospitano dipinti di notevole pregio, come Assunzione della Vergine di Francesco Curia (1602), Adorazione dei Magi di Pietro Negroni Natività della Vergine e Madonna con Bambino e Santi di Teodoro d’Errico (cioè il belga Dirck Hendricsz detto “il Fiammingo”, ultimo quarto del XVI sec.) e di altri autori (come Belisario Corenzio ecc.). Il pavimento in marmi policromi intarsiati risale al 1736. L’altare maggiore con delicatissimi intarsi marmorei è opera di Pietro e Bartolomeo Ghetti (1704); la pala è una veneratissima immagine dell’Annunciazione della fine del XV sec. Anche la sacrestia, con una notevole stuccatura del 1726, possiede interessanti affreschi di Francesco de Mura (1727) fra cui una bellissima Madonna Assunta.
3) L’interno della chiesa della SS. Annunziata
Il magnifico altare maggiore fu commissionato agli scultori Pietro e Bartolomeo Ghetti attorno al 1690; la chiesa era poi famosa per alcuni ornamenti marmorei a dir poco unici: il fantastico lavabo della sacrestia disegnato dall’Architetto Beneventano Filippo Raguzzini (prima metà del XVIII sec.) e i paliotti di alcuni dei 14 altari laterali ricordati. Ma sia il lavabo che alcuni paliotti furono sottratti da odiosi ladri sacrileghi nell’estate 1996 (per ironia della sorte proprio durante i lavori di installazione dell’impianto antifurto). Ho avuto la fortuna di vedere ancora al loro posto tali opere d’arte nel dicembre 1995 e posso assicurare che erano veramente eccezionali!
4) il lavabo della sacrestia scolpito da Filippo Raguzzini, trafugato nel 1996
Il completamento avvenne nel 1754 con la facciata monumentale ed il campanile, donazione di re Carlo di Borbone (sempre a seguito dell’esproprio delle sorgenti del Taburno), e non a caso disegnati da Luigi Vanvitelli (ma nel campanile vi sono evidenti influssi dell’arte del Raguzzini) e realizzati da Felice Bottigliero, le statue della Fede e della Speranza sul cornicione furono realizzate nel 1786.
5) la facciata della SS. Annunziata, disegnata da Luigi Vanvitelli
IL DUCA DON FERRANTE III
Prima di parlare dell’organo della SS. Annunziata, bisogna accennare al Quinto Duca d’Airola, cioè don Ferrante III (Piedimonte d’Airola 4-6-1642 – Portici 31-12-1689), che in pratica ne favorì e promosse la costruzione.
Egli era anche Conte di Bicarri, Barone di Vallemaggiore, Signore di Castelluccio, Morrone, Rotello, Celle, Faito, Arpaia ecc. e Patrizio Napoletano dal 1644; egli riuscì nell’intento di risollevare le sorti economiche dei suoi feudi e soprattutto di Airola, duramente provata, come si è detto, dalla pestilenza del 1656. Anche sua moglie, cioè donna Maria Candida Spinelli, figlia di don Carlo Principe di Tarsia e Patrizio Napoletano, si prodigò per Airola ed in particolare fece restaurare e riaprire al culto (1672) il Santuario della SS. Addolorata (nei pressi del castello), edificato nel 1363 ma in rovina dall’assedio del 1517, e vi fece collocare la pala d’altare Gesù deposto dalla croce opera di Andrea Solario.
L’ORGANO GRANDE D’OTTAVA STESA
L’organo della SS. Annunziata di Airola è uno dei più belli mai realizzati in Italia, fortemente voluto dalla cittadinanza con la partecipazione e la spinta del duca Ferrante III; esso è sopravvissuto a lunghe vicissitudini storiche e, dopo i danni del terremoto del 1980, è stato restaurato da Gustavo Zanin (1991 e in successivi interventi) ed è attualmente nelle condizioni originali, eccone la descrizione:
7) l’organo grande d’ottava stesa della SS. Annunziata di Airola, realizzato da Andrea Bassi da Ravenna; cassa e cantoria su disegno di Pietro e Bartolomeo Ghetti. Lo stemma sulla cimasa, sorretto da cherubini, è quello di Airola su cui è applicata la fascia con il motto A.G.P. (Ave Gratia Plena, appellativo della SS. Annunziata); da notare che la corona sopra lo stemma NON E’ la corona turrita (poiché il rango di città fu concesso ad Airola 70 anni dopo) ma è una Corona Ducale, simbolo della protezione e della volontà del duca Ferrante III Caracciolo d’Airola nella realizzazione dell’organo.
Registri:
(azionati da manette in ottone, poste in due file verticali a destra della Tastiera; nomi dei Registri scritti a penna su carta incollata)
– Principale [8’]
– Ottava
– XV
– XIX
– XXII
– XXVI
– XXIX
– Tiratutto
[ – Contrabbassi 16’ nei Pedali]
[ – Doppia Uccelliera]
|
– Principale II [8’]
– Flauto [in XII] [2’2/3’] [Soprani]
– Voce Umana [8’] [Soprani] |
Estensione
Tastiera di 48 tasti (Do – Do) cromatica con prima ottava “stesa” senza primo Do #; Pedaliera “a leggio” di 12 tasti (Do – Do) cromatica stesa senza primo Do #, costantemente unita alla prima ottava della tastiera.
Trasmissioni
Trasmissione meccanica sospesa classica italiana, restaurata; consolle “a finestra”.
Collocazione
Sulla cantoria monumentale sopra l’ingresso principale della chiesa.
Cassa
Cassa monumentale di splendida fattura, disegnata Pietro e Bartolomeo Ghetti, allievi di Dionisio Làzzari e scultori di fiducia della famiglia Caracciolo d’Airola; le lesene recano decorazioni dorate di derivazione lazzariana (si ritrovano alquanto simili nella cassa dell’organo della SS. Annunziata di Gaeta, disegnata da Dionisio Làzzari) e con lo stemma cittadino sopra il campo centrale recante il motto “A.G.P.” (Ave Gratia Plena) e sormontato dalla Corona Ducale per concessione della famiglia Caracciolo d’Airola.
Mostra
Mostra composta da 37 canne del Principale 8’, di finissima fattura organaria, disposte in tre campi ciascuno a cuspide [ 13 / 11 / 13 ] ognuna delle quali ha canna centrale con lavorazione “a tortiglione”; il campo centrale è leggermente convesso. Bocche “a mitria” allineate orizzontalmente; canna centrale Do 8’.
Note
La cantoria e la cassa furono realizzate su disegno dei fratelli Pietro e Bartolomeo Ghetti, che più tardi realizzeranno l’altare maggiore di questa chiesa. I Ghetti erano allievi del grande architetto Dionisio Làzzari ed erano scultori di fiducia dell’arcivescovo di Napoli, il cardinale Innico Caracciolo d’Airola (fratello minore del duca d’Airola don Ferrante III).
L’organo, di immenso valore, è forse il massimo capolavoro superstite dell’organaro Andrea Bassi da Ravenna che lo realizzò nel 1679–80 con modalità costruttive assolutamente eccezionali e di prim’ordine.
Nei secoli, l’organo si è mantenuto alquanto inalterato ad eccezione di alcuni interventi di accordatura e di ripulitura nel corso del XVIII e XIX sec. essenzialmente tenuti dalla famiglia Abbate, noti organari di Airola.
Esso è stato sempre tenuto in grande considerazione dagli Airolani e solo a partire dagli anni ‘ 50 del XX sec. l’organo ha conosciuto un lento degrado, accentuato dai danni del terremoto del novembre 1980.
Si giunse al restauro grazie all’impegno del Dott. Michele Del Viscovo, sindaco in quegli anni, che, conscio del valore dello strumento e conscio dei precisi doveri della Pubblica Amministrazione (che è proprietaria del complesso dell’Annunziata), riuscì ad ottenere i finanziamenti necessari dalla Regione Campania e a salvare l’organo. Il restauro fu condotto con grande serietà dalla Famiglia Zanin di Codroipo e seguito da Oscar Mischiati; l’organo fu inaugurato da Andrea Marcon nel 1992.
Nel frattempo lo stesso Dott. Del Viscovo effettuò ricerche presso l’Archivio di Stato in Benevento rintracciando il Contratto e stabilendo con assoluta certezza la paternità dello strumento e la sua integrità (tutti i registri sono originali). Poi, il Dott. Del Viscovo pubblicò le notizie raccolte, le sue considerazioni e quelle di Francesco Zanin nel libretto “Storia di un Organo Restaurato” fuori commercio, edito nel 1992.
Nel 1995 l’organo fu danneggiato inopportunamente: vi erano stati lavori di restauro al soffitto (oggetto di lavori di restauro ordinati dalla Soprintendenza: anche le tele del Finoglia erano state temporaneamente rimosse e portate al laboratorio di restauro) e non erano state prese sufficienti precauzioni. Pertanto l’organo risultava letteralmente invaso da polveri di cemento e minuti calcinacci. Oltretutto, un fulmine aveva bruciato gran parte dell’impianto elettrico che era stato sostituito da cablaggi di fortuna (in occasione di una mia visita privata nel dicembre 1995, il Dott. Del Viscovo aveva fatto eseguire una riparazione di fortuna dell’impianto elettrico stesso), ma nessuno si era avveduto dell’insuonabilità dell’organo in quanto, dopo il concerto inaugurale e dopo una successiva visita di Francesco Zanin, nessuno era più salito in cantoria.
Nuovamente restaurato da Zanin nel 1997 è stato riportato all’attenzione del pubblico in molte altre occasioni (tra cui una delle prime fu il mio concerto del 17 luglio 1998). Al momento attuale, l’organo di Airola è forse l’unico strumento Napoletano di grandi dimensioni così antico ad aver ottenuto il meritato serio restauro. Il suo suono, brillante e grandioso, riempie le navate in maniera davvero emozionante!
PER CHI VUOL SAPERNE DI PIU’
1. Analogie con l’organo della SS. Annunziata di Gaeta
Per chi vuole approfondire alcuni tratti stilistici, vale la pena di sottolineare che vi sono notevoli analogie fra l’organo della SS. Annunziata di Airola e quello dell’omonima chiesa di Gaeta (costruito da Giuseppe De Martino nel 1685–89): i due strumenti hanno caratteristiche troppo simili fra loro e troppo rare per l’epoca in cui sono stati costruiti (a pochissimi anni di distanza) per poter parlare di mera coincidenza. Lo strumento è stato descritto nel mio articolo comparso tempo fa nel sito “lapaginadellorgano” curato dal m.o Federico Borsari.
http://xoomer.virgilio.it/fborsari/arretra/olds/olds17.html
Entrambi hanno tastiere di 4 ottave, di cui la prima ottava è –cosa rarissima per l’epoca– cromatica “stesa” priva di Do #. L’organo di Gaeta ha meno registri: non ha né flauti né Voce Umana né il Principale II, e ciò lo rende più schiettamente “Napoletano” per l’epoca in cui fu costruito (mentre lo strumento di Airola –che invece ha quei registri– è stato costruito da un organaro Ravennate trapiantato a Napoli: basti pensare che la Voce Umana divenne in effetti onnipresente negli Organi Napoletani solo nel XVIII sec.).
Fra i carteggi del XIX sec. a proposito dell’organo conservati nell’Archivio Storico dell’Istituto della SS.ma Annunziata di Gaeta, si nota che alcuni organari del tempo (Sarracini, Colameo, Ruggieri ecc.), chiamati a studiare il restauro di quell’organo, avevano l’intenzione (poi attuata solo in parte) di aggiungervi: Contrabbassi, Flauto, Voce Umana e soprattutto il “Principale II 8’ ” (successivamente per• tali aggiunte si sono limitate ai pedali e ai relativi Contrabbassi 16’, elementi appunto risalenti a metà del XIX sec.: originariamente non c’erano). Mi sono chiesto più volte come mai volessero fare tali aggiunte e la risposta l’ho trovata solo ad Airola: tali organari conoscevano evidentemente l’organo di Airola e, aggiungendo all’organo di Gaeta tali registri, i due strumenti sarebbero stati (almeno dal punto di vista della disposizione fonica) pressocché uguali !
Vi sono poi elementi stilistici che confermano che le casse e le cantorie siano state disegnate da architetti della medesima scuola. La cassa dorata dell’organo di Airola è dimensionalmente poco più grande di quella di Gaeta (difatti essa ospita una mostra di 8’, mentre a Gaeta è di 6’, ed è sistemata su una cantoria d’ingresso alquanto più grande di quella di Gaeta, posta invece su una parete laterale del presbiterio), ma le lesene, le cornici, i capitelli e ogni minimo dettaglio decorativo delle cassa del primo e del secondo sono assolutamente identici (anche se poi la cassa di Gaeta è stata realizzata in maniera più raffinata e con maggior accuratezza d’intaglio).
Dal punto di vista organologico i due organari (Andrea Bassi ad Airola e Giuseppe de Martino a Gaeta) avranno certo avuto modo di scambiarsi opinioni e modalità costruttive (laddove non si possa parlare di rapporto allievo/maestro, cosa allo stato attuale non comprovabile), infatti in entrambi gli strumenti le canne di piombo sono lavorate da una lastra sottilissima ed in modo estremamente raffinato.
2. Andrea Bassi da Ravenna, chi era costui?
L’atto di nascita: Ravenna 9 gennaio 1630, ritrovato da mons. Gino Bartolucci
Proprio la mattina del 17 luglio 1998, mentre stavo partendo per recarmi ad Airola per il mio concerto, ho ricevuto da Ravenna la lettera di Mons. Gino Bartolucci (studioso e organista della Cattedrale di Ravenna dal 1930 fino al 1995, anno della sua messa a riposo, scomparso il 25 marzo 1999, festa della SS. Annunziata) che si era prodigato per ricercare notizie su Andrea Bassi, che non era a lui noto.
Così egli aveva eseguito e fatto eseguire ricerche nei Registri Parrocchiali custoditi nell’Archivio della Cattedrale e nella Biblioteca Classense di Ravenna ed ha individuato la sua data di nascita: 9 gennaio 1630. Dall’atto del Battesimo, avvenuto il giorno stesso in Ravenna nella Chiesa di San Biagio, risulta che Andrea è figlio di Olivio Bassi e di Celeste Bigliardi in Bassi. All’inizio del Concerto, dopo aver dato al pubblico qualche breve ragguaglio sull’arte organaria a Napoli e rimandando ogni approfondimenti agli autorevoli scritti del Prof. Stefano Romano, ho anche dato la notizia, inedita, della nascita dell’Organaro, precisando da chi l’avessi ricevuta.
Le opere di Andrea Bassi
Mons. Gino Bartolucci, non avendo trovato altre informazioni su Andrea Bassi (il nome non risulta negli anni successivi nei registri di cresima, di matrimonio ecc. né in zona vi sono organi o notizie di organi da lui costruiti, anzi il fatto che vi sia stato un organaro Andrea Bassi da Ravenna è stata per lui una sorpresa), ha ragione di ritenere che si sia trasferito in Campania piuttosto giovane.
Può darsi che il motivo del trasferimento di Andrea Bassi da Ravenna alla Campania sia stata la convocazione da parte di qualcuno degli architetti attivi all’epoca a Napoli (fra cui Cosimo Fanzago, Dionisio Làzzari o qualcuno della loro cerchia come i fratelli Ghetti.
Purtroppo allo stato attuale sono state identificate poche opere di Andrea Bassi tra cui le 4 più importanti sono:
1 AIROLA (BN) – SS. Annunziata: organo grande d’ottava stesa (1679/80) è l’organo di cui abbiamo parlato; il dott. Michele Del Viscovo ha rintracciato il Contratto presso l’Archivio di Stato di Benevento e Francesco Zanin ha rilevato la firma dell’Artista sull’anima della canna centrale della mostra; poco da aggiungere: è un autentico capolavoro di arte organaria e, in base alla data di nascita scoperta da Mons. Bartolucci, si tratta di un’opera della maturità di Andrea Bassi. Da notare che Andrea Bassi doveva essere famoso e riverito, tanto che alcune condizioni contrattuali sono a suo completo vantaggio (cosa tutt’altro che normale all’epoca) fra cui il fatto di realizzare l’organo a Napoli nella sua bottega e l’obbligo per gli Amministratori dell’Annunziata di Airola di smontare e trasportare nella bottega dell’organaro l’organo “vecchio” (uno strumento della fine del XVI sec., di cui alcune canne sono state conservate da Andrea Bassi e inserite nel suo nuovo organo).
7) l’organo della SS. Annunziata di Airola dopo i danni del terremoto del 1980
2 AIROLA (BN) – Congrega del Purgatorio: organo sulla cantoria (1685/90 ?). Piccolo ma molto interessante. Non ho potuto accedervi a causa del persistente stato di abbandono dello strumento e della cantoria. Esso fu anche periziato da Francesco Zanin nel 1992 che ne ha identificato la paternità. Lo strumento, in cattive condizioni ma pressocché integro nella parte fonica: Ripieno fino alla XXIX, Voce Umana, Flauto; ottava “corta”. Lo stile è inconfondibile: gli intagli sono sempre della classica compostezza mista di barocca esuberanza della scuola di Dionisio Làzzari (e verosimilmente si tratta degli stessi scultori: Pietro e Bartolomeo Ghetti) e anche qui il campo centrale è convesso e la mostra ha canne “a tortiglione” al centro di ogni comparto.
8) l’organo della Congrega del Purgatorio di Airola, realizzato da Andrea Bassi e rimaneggiato dalla famiglia Abbate (organari di Airola); danneggiato dal terremoto del 1980 e in attesa di restauri
3 e 4 NAPOLI – Chiesa di Santa Maria dei Miracoli: organi gemelli Nel primo volume del trattato “L’ARTE ORGANARIA A NAPOLI” del prof. Stefano Romano (pag. 376) sono riportate le prove documentali che i due organi gemelli sono stati realizzati da Andrea Bassi. Di essi sono sopravvissute le sole cantorie e le splendide casse in cui vi sono oggi delle finte canne di legno (proprio alla metà del XIX sec., sulla cantoria sopra l’ingresso della chiesa, venne realizzato un bellissimo strumento da parte dell’organaro Gaetano Aveta). Sul trattato, il Prof. Romano identifica il costruttore dei due organi gemelli con un artista napoletano: Andrea Basso (1687–1742) musicista, organista ed organaro. Tuttavia, basandomi su considerazioni di ricorrenza di nomi, credo che siano stati costruiti da Andrea Bassi da Ravenna, e ciò perché, come è riportato in “Napoli Sacra”, Fasc. XIV (Ed. Elio De Rosa, Napoli, 1996) le casse gemelle sono state disegnate da Giandomenico Vinaccia e sono di poco posteriori al 1675 (anno in cui la direzione dei lavori della chiesa fu affidata a Dionisio Làzzari e gli scultori Pietro e Bartolomeo Ghetti vi hanno realizzato molti particolari decorativi sia su disegno del Làzzari che del Vinaccia). Ovviamente raffronti organologici non sono possibili perché, come il Prof. Romano ha riportato nel Suo Trattato, le canne sonanti sono andate perdute e nelle splendide casse vi sono delle finte mostre composte da cilindri in legno.
9) Napoli – S. Maria dei Miracoli: quanto rimane dell’organo di destra (realizzato da Andrea Bassi sulla cantoria e nella cassa disegnate da Giandomenico Vinaccia, allievo anch’egli di Dionisio Làzzari, 1675; l’organo di sinistra è nelle medesime condizioni)
Ma vi sono evidenti analogie formali con gli strumenti di Airola: la parte centrale di tali organi è convessa e le canne centrali erano “a tortiglione” (cosa ben evidente nella fotografia pubblicata dal Prof. Romano nel Vol. II del suo Trattato dove le canne finte evidentemente imitavano la foggia di quelle che certamente furono le vere canne originali; oggi nessuna delle canne finte è a tortiglione, come si evince dalla fotografia pubblicata su Napoli Sacra). Oltretutto, campo centrale convesso e le canne “a tortiglione” al centro di ogni campo non sono caratteristiche comuni da trovare insieme. Questi quattro strumenti risalgono agli anni fra il 1675 ed il 1685, pertanto alla maturità di Andrea Bassi; resta una grossa “lacuna” proprio negli anni di formazione (dal 1655 in poi). Quasi certamente gli organi che egli costruì in Napoli fra il 1655 e il 1675 hanno seguito la stessa sorte di quasi tutti gli organi anteriori al XVIII sec.: rimpiazzati da altri. Infatti nel ‘ 700, la diffusa ricchezza permise a parroci, priori e abati di Napoli di rinnovare quasi tutti gli ornamenti delle proprie chiese e conventi, perciò molti organi (anche quelli che avevano non più di 50–60 anni) vennero completamente ricostruiti.
10) Napoli – S. Maria dei Miracoli: la fotografia dell’organo di sinistra pubblicata dal prof. Stefano Romano (si tratta dell’organo gemello dell’altro); all’epoca della fotografia, ante 1980, in entrambi gli strumenti ormai ridotti al silenzio le finte canne in legno recavano al centro delle cuspidi una canna in legno lavorata “a tortiglione”, reminiscenza delle mostre originali perdute da tempo immemorabile. Tale dettaglio e la bombatura del campo centrale sono presenti anche nella mostra dell’organo di Airola.
3. Bibliografia essenziale
Sulla SS. Annunziata di Airola si può consultare: Riccardo Lattuada “Il Barocco a Napoli e in Campania”, S.E.N., Napoli, 1988;
Sull’Arte Organaria a Napoli l’indispensabile trattato del prof. Stefano Romano (Vol. 1 Arte Tipografica, Napoli, 1979; Vol. 2, S.E.N. – Napoli, 1990);
Sull’organo grande di ottava stesa si segnala: Michele Del Viscovo “Storia di un Organo Restaurato” fuori commercio, edito nel 1992 e l’articolo di Angelo Castaldo in “Arte Organaria e Organistica” n. 34, ed. Carrara, Bergamo, settembre-ottobre 2000
4. Ringraziamenti
I più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che hanno reso possibile la scrittura di quest’articolo: innanzitutto mia moglie Antonella che ha scattato le fotografie (ad eccezione di quelle in bianco e nero); il dott. Michele Del Viscovo che è stato il protagonista del restauro dell’organo e ci ha gentilissimamente accolto in Airola; il prof. Stefano Romano, massimo esperto dell’arte organaria napoletana; il m.o Angelo Castaldo che mi ha inviato copia del suo articolo; il restauratore Francesco Zanin e il nostro padrone di casa “virtuale” LiberExit.
Graziano Fronzuto