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Il compositore pontino Francesco Testa a trent’anni dalla scomparsa

FRANCESCO TESTA

Ritratto del musicista a trent’anni dalla scomparsa

di Nilo Cardillo e Graziano Fronzuto

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La parabola di vita del Maestro Francesco Testa – nato a Santi Cosma e Damiano (LT) il 13 giugno 1908 e scomparso a Scauri, Minturno (LT), il 1° settembre 1984 – offre la prova tangibile dei grandi risultati che un uomo può ottenere quando, divenuto consapevole del proprio talento e delle proprie capacità, persegue con determinazione un personale progetto di vita, anche a costo di privazioni e di sacrifici.

 

I. – FRANCESCO TESTA – la biografia

Nel corso dell’estate del 2008 è stato celebrato in Santi Cosma e Damiano (LT) il centenario della nascita del musicista Francesco Testa, nato in questo paese, con un concerto di Musica Sacra per organo patrocinato dalla Pro-Loco e seguito da un folto pubblico, presenti i familiari del musicista e le Autorità.

L’iniziativa rientrava in un progetto più complessivo di recupero della memoria storica del piccolo paese, situato sulle colline che guardano la sponda destra del Garigliano, poco lontano dalla foce del fiume; oggi è nella provincia di Latina, ma storicamente ha sempre fatto parte del territorio della cosiddetta Terra di Lavoro, estremità settentrionale dell’antico Regno di Napoli.

Molti dei presenti avevano conosciuto di persona Francesco Testa e ne avevano sempre serbato un vivissimo ricordo, ma per meglio tratteggiarne questo suo breve ritratto ci siamo affidati a testimonianze di altri suoi amici ed allievi, tra cui due suoi alunni dei primi anni di insegnamento (presso l’Istituto Magistrale di Castelforte), che erano anche suoi vicini di casa e sono divenuti a loro volta artisti: Vinicio Vezza, anch’egli musicista, ed Enrico Mallozzi, poeta.

I loro ricordi sono risultati chiari, lucidi, sempre venati di ammirazione e di affetto per il maestro, considerato quale figura esemplare di quel mondo, più difficile e più povero, ma più amico dell’uomo, più rispettoso della sua civiltà che egli, con la sua arte, rappresentava.

Da tali ricordi è emersa sia la figura del musicista e del docente severo e geniale, sia l’atmosfera di quegli anni lontani, intrisi di fatica, di difficoltà del vivere, ma anche di onestà, di operosità serena, ancorata a valori forti, di tensione consapevole verso un riscatto sociale che poteva derivare solo dallo studio severo e rigoroso. Un diploma, allora, non era un soltanto pezzo di carta ma un autentico lasciapassare per una sistemazione stabile, per una crescita sociale, per guardare con serenità al resto della propria esistenza.

Formazione musicale ed avvio di carriera

Francesco Testa è nato il 13 giugno 1908, nella casa di famiglia situata proprio al centro di Santi Cosma e Damiano di fronte alla chiesa parrocchiale (dedicata ai medesimi Santi cui è intitolato il paese), figlio di Giuseppe, sarto e calzolaio, che con la sua arte allevava una famiglia numerosa. Essendo nato nel giorno della festività di S. Antonio, è stato battezzato anche con questo nome e per tale ragione i suoi compaesani lo hanno sempre chiamato, sin dalla più tenera età, Francescantonio.

Il suo vivo interesse per la musica è iniziato a palesarsi già frequentando le scuole; sin dai primi anni ’20 ha sentito il particolare fascino della musica bandistica: del resto ogni Comune del circondario aveva una propria Banda Musicale e ognuna aveva come direttore un musicista particolarmente abile e preparato, spesso proveniente dal Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli (dove la composizione e direzione di banda era una delle materie principali e i cui corsi erano tenuti dai migliori insegnanti). In questo caso a notarlo e incoraggiarlo è il maestro Aldo Mario Sorrento, musicista di origini napoletane ma con vasta esperienza internazionale (era stato anche in Sud America ed a New Orleans), direttore della banda di Santi Cosma e Damiano tra il 1912 e il 1921.

Francesco Testa, quindi,  si è recato giovanissimo (men che quindicenne) a Napoli per studiare musica e -grazie al suo precoce talento- è stato ammesso nel Conservatorio San Pietro a Majella per studiare coi migliori musicisti del tempo. Tra questi, innanzitutto Gennaro Napoli (Napoli, 1881 – 1943; compositore e vicedirettore del Conservatorio) e – nel campo della composizione – Franco Michele Napolitano (Gaeta, 1887 – Napoli, 1960; organista, compositore, direttore d’orchestra) e la moglie di quest’ultimo, Emilia Gubitosi (Napoli, 1887 – 1974; compositrice, direttrice di coro, insegnante di teoria musicale). Nel contempo si è fidanzato con la sua compaesana Emma Sparagna, la cui famiglia, apprezzandone il talento e la serietà, non gli fa mancare l’aiuto economico indispensabile per proseguire gli studi.

Appena ventenne può perfezionarsi con il compositore Raffaele Caravaglios (Taranto 1864 – Napoli 1941; insegnante di strumentazione per banda e prestigioso direttore dei maggiori complessi bandistici della città) che, avendo intuito ed apprezzato le innate capacità del Testa nel comporre e dirigere, lo ha invitato a dirigere la Banda Municipale di Napoli, nella Villa Comunale, quando i concerti di Banda sotto la splendida “cassa armonica” di quel giardino erano irrinunciabili appuntamenti musicali per il mondo culturale partenopeo.

Le doti musicali del Testa in qualche modo ricordavano a Caravaglios quelle del primo figlio, Nino, promettente musicista la cui brillante carriera era stata tragicamente spezzata dalla morte in guerra avvenuta nel 1916 (un altro suo figlio, Cesare, sarà un famoso storico della musica popolare). Sta di fatto che, grazie al proprio indiscutibile talento, il musicista sancosmese è stato in quegli anni uno dei più giovani -se non il più giovane- direttore del prestigioso complesso musicale napoletano. Contemporaneamente inizia a comporre interessanti brani bandistici, ma anche per coro e voci soliste, ispirandosi sia alla musica popolare (che egli aveva avuto modo di conoscere e studiare da vicino soprattutto con il Caravaglios), sia alla polifonia sacra. Con la concreta prospettiva di una brillante carriera musicale, Francesco poteva quindi sposare Emma e, all’età di 23 anni, nasceva la prima figlia, Licia, seguita poi da altre quattro bambine e due bambini. Negli anni tra le due guerre mondiali ha diretto numerose bande musicali, in particolare quella di Sessa Aurunca, i cui concerti erano assai seguiti, in tanti comuni della parte settentrionale della Provincia di Caserta.

La maturità e le composizioni per organo

Gli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale trascorrono tra dolori e distruzioni (durante la Battaglia di Cassino il paese natale viene pesantemente bombardato e la casa di famiglia viene distrutta); nondimeno riesce a mantenere una certa attività artistica componendo alcuni brani corali e sinfonici. Al termine della Guerra si trasferisce con la famiglia a Latina per assumere l’incarico di Direttore del “Concerto Civico”, cioè delle formazioni corali, bandistiche e strumentali attive in città. Raggiunta una notevole padronanza della direzione e composizione di bande, riesce a vincere nel 1952 il prestigioso premio “Gian Battista Viotti” della città di Vercelli.

A partire dal 1945 inizia ad insegnare pressola Scuola Media“Dante Alighieri” di Formia, dove resterà fino al 1960.

Agli anni ’50 risalgono alcuni brani per organo pubblicati dalla Casa Editrice Carrara di Bergamo tra il 1955 e il 1960. Si può pensare che questi brani per organo siano stati scritti su incoraggiamento del maestro Napolitano, che li ha segnalati al responsabile delle pubblicazioni musicali organistiche della casa editrice, il famoso musicista Luigi Picchi organista e direttore della cappella musicale della Cattedrale di Como.

In questi anni si trasferisce definitivamente a Scauri, frazione marittima di Minturno, pur continuando a frequentare con assiduità il paese natale e a comporre canti per l’uso parrocchiale e arie cameristiche su testi di suoi amici.

Ricordiamo che l’organo a canne della chiesa di San Francesco a Minturno dovrebbe essere stato costruito su suo progetto fonico, secondo varie testimonianze (anche se al momento non è stata reperita documentazione certa in merito). Lo strumento è stato realizzato nel 1954 dall’organaro cremasco Giuseppe Varesi (Crema, 1892-1963), genero e prosecutore dell’attività di quel Giuseppe Rotelli (1862-1942) che aveva costruito nel1907 l’organo della SS. Addolorata di Gaeta e che aveva a lungo collaborato con il musicista gaetano Franco Michele Napolitano.

Gli ultimi anni e l’eredità culturale

Francesco Testa è stato per tutta la vita, un po’ per vocazione, ma soprattutto per assicurare una base economica alla numerosa famiglia,  docente presso Istituti Scolastici. Ha concluso la propria carriera didattica presso l’Istituto Magistrale “Marco Tullio Cicerone” di Formia (dove ha insegnato a partire dal 1960). Egli ha vissuto tutte le trasformazioni che hanno attraversato il mondo scolastico, soffrendo molto per il venir meno della serietà degli studi. Collocato in pensione nel 1978, muore nel1984 aScauri (LT) nella casa di famiglia.

Come docente era convinto del ruolo centrale della musica e del canto corale, che avrebbero meritato maggiore spazio nei programmi di studio; pur nei limiti delle ore concesse, ha sempre cercato di ottenere il meglio dai suoi studenti, avviandoli alla conoscenza della storia della musica e delle nozioni di base della disciplina.

Come uomo di cultura ha radunato intorno a sé una ristretta cerchia di amici e di allievi dedicando il proprio tempo libero alla musica. Non a caso Vinicio Vezza ed Enrico Mallozzi ricordano nitidamente le giornate intere passate col maestro, e non possono fare a meno di rievocare il lungo sodalizio con un poeta per il quale egli creava intense melodie che poi cantavano alternandosi nelle voci e al pianoforte (peccato che in quegli anni lontani non erano così diffusi gli apparecchi per la registrazione sonora!).

Il poeta era don Raffaele Bergantino (Castelnuovo Parano, 1917 – Tremensuoli, 2006), sacerdote, scrittore e teologo; per lungo tempo docente di religione al Liceo Classico Vitruvio di Formia, è anche ricordato per essere stato vicario dell’Arcivescovo di Gaeta.; suo è il trattato di teologia  Il Cardinale Gaetano e la teoria della doppia giustificazione, pubblicato nel 1942 e incentrato sulla figura storica del cardinale Tomaso de Vio, storicamente noto come “Cardinale Gaetano”. Bergantino  ha scritto liriche di ispirazione religiosa ma anche naturalistica e sentimentale molte delle quali sono state musicate dal Testa (quasi tutte, purtroppo, sono tuttora inedite).

Nonostante questo, le melodie composte dal Testa non sono state dimenticate, anzi sono rimaste nella memoria collettiva del paese, com’è emerso durante il concerto in occasione del centenario della nascita, quando più di una persona ha affermato di ricordare questo o quel passaggio e qualcuno ha persino canticchiato a bocca chiusa qualche melodia. E in effetti la musica del maestro Testa è patrimonio della storia e della cultura della comunità sancosmese ma anche dell’antica Terra di Lavoro e –perché no– dell’Italia Centrale.

In tal senso, far rivivere le figure illustri della storia cittadina, significa offrire una base di appoggio per la formazione dei giovani, affinché essi possano sentire concretamente di essere inseriti in un processo storico comune, in una tradizione di valori e di ideali nobili, dentro la quale è possibile concepire progetti lunghi di vita e coltivare sogni che, soli, possono giustificare i sacrifici e gli sforzi che qualsiasi conquista significativa richiede.

Invece, la società attuale, minata dalle sue molteplici contraddizioni, sottoposta ad un vortice di informazioni che ci aggrediscono, letteralmente, da ogni dove, sta producendo persone confuse e disorientate,  inclini alle “passioni tristi”, preda di paure e di ansie che li rendono incapaci  di concepire progetti che vadano oltre il respiro di una settimana. Nel mondo in cui viviamo tutto cambia molto in fretta, aumenta il numero delle comodità a nostra disposizione, degli oggetti che possiamo comprare, ma, al tempo stesso, tutto si consuma rapidamente ed il terreno sotto i nostri piedi è sempre più instabile. Il progresso fine a se stesso può diventare il primo nemico dell’umanità, se esso è sganciato da una chiara consapevolezza della propria storia, da un costante riferimento al proprio passato. Questo vale sia per le piccole comunità, sia per le nazioni e per i popoli; se smarriamo la nostra memoria finiamo per cadere in un grigio e piatto presente nel quale perdiamo il senso del nostro esistere. Forse il mondo della nostra infanzia era troppo lento, a volte immobile, fermo da secoli nella ripetizione degli stessi riti. Eppure dentro quella apparente immobilità, proprio in mezzo a quei riti che si riproducevano sempre uguali, era più agevole per noi ragazzi divenire uomini ed accettare il peso delle responsabilità, anche perché era assai più facile trovare negli adulti figure di riferimento.

 

II. – FRANCESCO TESTA – l’arte musicale

L’arte musicale di Francesco Testa abbraccia un arco di oltre mezzo secolo (dagli anni ’30 del XX secolo fino ai primi anni ’80); pur interessandosi di svariate forme musicali, egli ha mostrato di preferirne quattro: la musica bandistica, quella per organo, quella corale, ela romanza. Leprime tre hanno contraddistinto anche periodi ben determinati, mentre l’ultimo sembra averlo interessato senza soluzione di continuità.

La musica per banda

Nella prima metà del XX secolo, la diffusione capillare dei Complessi Bandistici in Italia e soprattutto nel Centro-Sud è stato un fondamentale fenomeno culturale tuttora non sufficientemente studiato e non sufficientemente compreso. Eppure è particolarmente istruttivo dato che ci permette di capire quale amore per la buona musica nutrissero gli Italiani, fino a desiderare di ascoltarla, viverla, promuoverla in ogni sua forma anche senza essere professionisti. I Comuni stessi organizzavano e finanziavano senza risparmio la nascita e lo sviluppo delle Bande; nelle grandi città, le Bande arrivavano ad avere numerosi componenti di alta levatura artistica e di solida preparazione musicale; altrettanto accadeva presso le Forze Armate, i Corpi militarmente organizzati (Vigili Urbani, Vigili del Fuoco, Guardie Forestali ecc.) e molti Enti ed Aziende di una certa importanza (per esempio i Ministeri e le aziende di trasporto pubblico). Nei paesi, ogni famiglia aveva uno o più congiunti in grado di suonare strumenti musicali (come è facile verificare controllando i cognomi negli organici delle Bande).

Nel caso di Santi Cosma e Damiano, la Banda era stata fondata nel 1907 per iniziativa di Michelangelo Palombo, insegnante elementare appassionato di musica, ed era stata affidata alla direzione di valenti musicisti provenienti dalla migliore scuola del tempo: il Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli. I primi direttori hanno mantenuto l’incarico per pochi mesi ciascuno, finché nel 1912 non è stato chiamato Aldo Mario Sorrento, che resterà fino al 1921. Tra gli strumentisti diretti da quest’ultimo, c’era Filippo Testa, zio di Francesco, suonatore di bombardino, ma –come ci si aspetta– nella Banda ogni famiglia sancosmese aveva almeno un membro (i Vezza hanno Dante e Alfredo, i Di Principe hanno Pietro, Emilio e Pasquale, i Cardillo hanno Antonio, gli Ionta Olindo, i Di Biasio Vincenzo ecc.). A questi si aggiungono i Massimo, il cui capofamiglia Giuseppe suonava l’organo settecentesco collocato nell’abside della chiesa parrocchiale (che sarà distrutto nel 1944…) e i Petruccelli, con Vincenzo, voce solista nei cori religiosi ma anche nei concerti in piazza. Non fa meraviglia che il nostro musicista inizi la sua carriera con la Banda, guidato dal maestro Sorrento, e da questi incoraggiato a proseguire gli studi a Napoli, dove in pochi anni egli arriva ad eccellere nella non facile arte della composizione per tale organico, mettendo a frutto gli insegnamenti dei propri Maestri: innanzitutto Gennaro Napoli, ma anche Franco Michele Napolitano (il cui padre, Pasquale, era ufficiale d’Esercito e direttore di Bande Militari), sua moglie Emilia Gubitosi e soprattutto Raffaele Caravaglios (che lo incoraggia a comporre per organico bandistico ma anche per grande orchestra).

Negli anni ’30, infatti, Testa compone principalmente marce sinfoniche per banda ed alcune pagine per orchestra. Sue marce sinfoniche entrano nel repertorio delle Bande Municipali del Basso Lazio e della Campania e vi resteranno a lungo (probabilmente diffuse in copie manoscritte effettuate da allievi e colleghi, poiché non risulta che siano state date alle stampe).

La musica per coro

Pur tenendo presente che in Santi Cosma e Damiano la musica corale si praticava ad alti livelli soprattutto in chiesa (lo stesso maestro Sorrento aveva scritto una Messa piccola per coro, organo e strumenti a fiato che ha goduto di un lungo successo ed è stata eseguita praticamente ogni anno finché la Liturgia è stata celebrata in Latino), l’interesse per il coro si palesa quando inizia ad insegnare nel 1939 Musica e Canto Corale nelle scuole pubbliche di Castelforte (paese confinante con quello natale). E’ l’occasione per perfezionarsi musicalmente anche in questa materia e difatti nel 1940 consegue presso il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma lo specifico diploma di Direzione di Coro.

La sua creatività si esprime anche nella polifonia vocale, sia a carattere sacro sia profano. Nel primo caso egli attinge ai testi della Liturgia, rigorosamente in Latino, musicando canti religiosi quali Jesu mane nobiscum, Vere languores, Tota pulchra es Maria (in seguito anche testi appositamente scritti in Italiano tra cui l’Inno a San Giovanni Battista e una delle sue ultime opere: l’Inno alla Madonna di Montenero Madonna che splendi nel sole su testo di Mario Giusti, noto autore di letteratura infantile); nel secondo si rivolge a tradizioni popolari quali Coro dei mietitori, Barcarola, Canti contadini almeno nominalmente, dato che utilizza con bravura testi dotti di autori suoi contemporanei e conterranei (tra cui, come vedremo meglio in seguito, don Raffaele Bergantino).

La composizione di questi brani lo vede impegnato per tutti gli anni ’40 (anche durante il difficile periodo bellico); molti saranno pubblicati nel dopoguerra. Ma ad entrare nel repertorio corrente saranno soprattutto i canti sacri: avranno ampia diffusione fino agli anni ’70; poi però, nonostante l’oggettiva qualità musicale, saranno presto accantonati salvo rare eccezioni accadute in luoghi dove tale qualità è stata sempre riconosciuta (in alcune parrocchie nel Veneto, ed in particolare nella Diocesi di Padova, a quanto pare alcuni suoi brani sono stati eseguiti sin dalla loro pubblicazione e lo sono tuttora).

La musica per organo

Testa aveva cognizione della tecnica organistica sin dagli anni del conservatorio (dove il musicista gaetano F.M. Napolitano insegnava organo e composizione organistica), ed aveva suonato più volte in chiesa (all’epoca ogni chiesa aveva un proprio organo a canne), ma si è dedicato professionalmente alla composizione organistica solo a partire dalla metà degli anni ’50. In pochi anni ha pubblicato sette brani, di cui ben sei per le Ed. Carrara (che hanno appena provveduto a ristamparli unendoli in una raccolta monografica). Si trattava di pezzi non lunghi, soprattutto a carattere pastorale, all’interno di antologie di ampia diffusione per le quali vigeva l’obbligo di comporre senza eccedere in difficoltà tecnico-stilistiche né in lunghezza. Rispettando tali restrizioni, Testa è riuscito (forse più che altri Autori che scrivevano per le stesse antologie) a scrivere pagine mirabili, contraddistinte da un’alta ispirazione e da melodie intense e struggenti. In esse riecheggia un’ispirazione tradizionale filtrata e sublimata con padronanza tecnica e graze ad una solida costruzione contrappuntistica. A volte alcuni arditi cromatismi fanno intuire la perfetta conoscenza di linguaggi sonori decisamente moderni (forse assimilati durante le lezioni dei coniugi Napolitano).

Se da un lato è evidente che alcuni suoi brani possono anche essere suonati all’harmonium, dall’altro emerge che il loro autentico mondo sonoro è quello dell’organo, dotato di quei registri e di quegli accorgimenti tecnici che a metà del XX secolo erano considerati all’avanguardia (e non a caso l’organo dianzi ricordato della chiesa di San Francesco a Minturno risulta essere perfettamente adeguato all’esecuzione della musica del Testa e alle prescrizioni autografe per l’esecuzione dei suoi brani).

La romanza

Per tutta la sua carriera di compositore, durata un cinquantennio, Testa ha prediletto in modo particolare la romanza, sia quella propriamente detta (nella quale la melodia è cantata da una voce solista su un testo poetico con un accompagnamento in genere esclusivamente pianistico), sia quella “senza parole” (la melodia, senza alcun testo, e l’accompagnamento sono eseguiti dal solo pianoforte). Anche se è rimasta quasi integralmente inedita, la sua produzione di romanze è stata indubbiamente amplissima come attestano numerose testimonianze dirette. Peraltro egli vi si dedicava all’interno della ristrettissima cerchia di suoi intimi amici, tra cui alcuni poeti di valore quali Enrico Mallozzi e Mario Giusti, ed alcuni appassionati musicisti quali Vinicio Vezza e Almerindo Ruggiero. Ma la maggior parte dei testi gli è stata fornita da don Raffaele Bergantino indimenticata figura di sacerdote, uomo di cultura, letterato ed anche buon cantante lirico.

Gli incisivi versi di don Bergantino sono tuttora citati a memoria da molti suoi allievi, e parimenti le melodie di Testa sono rimaste indelebilmente impresse in chi le ha ascoltate: a riprova abbiamo ricevuto lo spartito di un’inedita Barcarola dei due autori, il cui manoscritto era andato perduto, ricostruita verso per verso e nota per nota, a memoria, da loro allievi grazie ai propri ricordi.

Una delle più belle romanze  basate sui profondi versi del sacerdote è sicuramente Chiesetta del mio borgo, contraddistinta da una nobile melodia con un accompagnamento dalle inusuali armonizzazioni. Non meno degne di nota per le caratteristiche melodiche ed armoniche le romanze per pianoforte solo, che evocano momenti meditativi ben descritti nei rispettivi titoli, quali: Lontani ricordi, All’ombra del Tiglio, La donzelletta, La bambola sbarazzina (dedicata alla diletta nipotina Paola Mariano).

In memoria

È il titolo dell’ispirato sonetto che il poeta Enrico Mallozzi, allievo del Testa, ha composto in sua memoria l’11 giugno 2008 (in vista del centenario dalla nascita) e che –con la sua inimitabile cortesia– ci ha voluto inviare. Eccolo:

 

Tu c’insegnasti ad ammirar Rossini,

maestro di gaiezza e Donizetti,

tragico e semiserio e Bellini

delicato e con i suoi reietti,

 

nobilitasti; Verdi e i motivetti

ci apprendesti cari a Mussolini,

quando frequentavamo, giovinetti,

il Magistrale e lungi dai confini

 

ancora, era la guerra che sconvolse,

quindi, la nostra terra e a tanti e tanti

oltre agli averi, pur la vita tolse.

 

Dalle macerie estraemmo i Santi

E il nuovo campanile, allegra, sciolse

Alla rinata Autonomia i canti !

 

In conclusione, anche senza considerare l’immenso patrimonio costituito dai brani rimasti inediti (alcuni dei quali tuttora eseguiti grazie a copie manoscritte e persino grazie alla memoria popolare), il corpus di composizioni di Francesco Testa stampate e divulgate nel corso degli anni è sufficientemente ampio per tratteggiare la sua figura di musicista e la levatura del suo talento.

Dalla conoscenza e dallo studio dei brani stampati –soprattutto quelli per coro e quelli per organo– emerge chiaramente l’attenzione dell’autore ad ogni aspetto della cultura musicale, sapientemente miscelato con gli altri: la tradizione classica, quella popolare, l’innovazione, il cromatismo, il contrappunto, l’attenzione all’uso didattico dei brani stessi. Poiché però questi brani sono tutti contraddistinti da breve durata e da media difficoltà d’esecuzione (e ciò su richiesta degli Editori e dei Direttori Artistici delle collane editoriali in cui sono stati inseriti), resta il dubbio se egli ne abbia anche composti ulteriori di maggior ampiezza e di diversa levatura tecnica (in particolare quelli destinati all’organo), poiché ne aveva sicuramente le capacità e le cognizioni, ma –non avendoli pubblicati– occorrerà semmai individuarli in una futura ricognizione dei numerosi manoscritti che ha lasciato.

Ringraziamo calorosamente coloro che hanno voluto aiutarci in questa ricerca, ed in particolare: m.oFederico Borsari, dr. Michele Bosio,  dr. Michele Ciorra, prof.ssa Rita Fronzuto, avv. Guglielmo Giarda, prof.ssa Giuseppina Lamonica Fantasia, prof. Enrico Mallozzi, m.o Matteo Morsoletto, dr. Vincenzo Petruccelli, rev. prof. Stefano Romano, prof. Almerindo Ruggiero, ing. Orfeo Testa, prof. Vinicio Vezza.

Vivaldi: le Quattro Stagioni per Violino e Organo

Johann Sebastian Bach: Concerto in Do, Bwv 976 (da A.Vivaldi, op III n.12)
Antonio Vivaldi: Le Quattro Stagioni (trascr. per Violino e Organo di Marco Ruggeri)

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Violinista: Lina Uinskyte
Organista: Marco Ruggeri
Organi:
Montebelluna (TV), S. Maria in Colle (Gaetano Callido, 1805); [tracce 1 – 6]
Quinto di Treviso (TV), S. Cassiano (Giovanni Battista de Lorenzi, 1805) [tracce 7 – 12]
Vittorio Veneto (TV), Duomo di Serravalle (Antonio e Agostino Callido, 1822) [tracce 13 -15];
Italia

Fugatto Records – FUG 055 – DDD – 2014

di Graziano Fronzuto

La trascrizione è sempre stata uno dei banchi di prova più arditi e nel contempo più fascinosi per tutti i grandi musicisti, specie quando l’Autore di cui si trascrivono i brani è uno del calibro di Antonio Vivaldi e lo strumento per cui si trascrive è l’organo. Questo CD, mirabile sotto tutti gli aspetti, ne dà ampia dimostrazione.

Il brano d’apertura è il dodicesimo dei dodici concerti dell’Op. III “L’Estro Armonico” di Antonio Vivaldi, per violino e archi trascritto per strumento a tastiera da Johann Sebastian Bach. Quest’ultimo trascrisse numerosi concerti del musicista veneziano, che erano diffusi e famosi in tutta Europa, innanzitutto per capirne e carpirne l’essenza ed anche per sorprendere il pubblico nell’eseguirli col cembalo o l’organo anziché con la compagine orchestrale.

Seguono nel CD i meravigliosi concerti de “Le Quattro Stagioni”, anch’essi originariamente scritti per violino e archi (si tratta dei primi quattro dei dodici concerti dell’Op. VIII “Il cimento dell’armonia e dell’inventione”), nell’entusiasmante trascrizione per violino e organo di Marco Ruggeri che ha compiuto un’operazione da far tremare i polsi a qualsiasi musicista.

Oltre alla trascrizione, va lodata senza alcuna riserva l’interpretazione che il duo Uinskyte e Ruggeri fa di questa già di per sé geniale trascrizione. Le possibilità esecutive degli organi Veneti sono sfruttate al meglio, con i timbri sfavillanti che li contraddistinguono, registri “di Ripieno” dal suono cristallino e registri “di Concerto” sempre sorprendenti. Il dialogo che instaurano i due interpreti è fascinoso e avvolgente, sempre frizzante e brioso, simbiotico, magico. Corde di violino e canne d’organo sembrano abbracciarsi riuscendo a rendere palese, visibile, palpabile la musica di Vivaldi e persino (ma non poteva essere altrimenti) ciascun verso dei sonetti che la ispirarono (riportati molto opportunamente nel libretto).

A mio gusto personale, il CD è di quegli da portare in cima alla lista delle preferenze d’ascolto. Dovendo scegliere, l’esecuzione dell’Inverno (ultime tre tracce) è la perla delle perle. Oltre alla squisita arte della violinista, si percepisce al massimo grado la perfetta padronanza dell’organista dello strumento di turno, lo spettacolare organo che i figli di Gaetano Callido, Agostino ed Antonio, costruirono a Serravalle di Vittorio Veneto e che –se mi posso permettere– è il re degli strumenti, tutti nobilissimi, scelti per la registrazione.

Dal punto di vista tecnico ed artistico, tutto ciò che è stato curato da Federico Savio (dalla presa del suono, alla realizzazione del CD all’edizione complessiva ecc.) merita tanto di cappello poiché, con una professionalità davvero rara, ha dato vita ad un prodotto di livello eccezionalmente alto e che non mancherà di essere apprezzato in modo incondizionato dagli ascoltatori.

Agosto 2014 – Graziano Fronzuto

 

L’Organo Puccini di San Miniato Basso. Un percorso musicale dall’Annunciazione al Natale

Organista: Antonio Galanti
I Cantores Ecclesiae” e “Corale San Genesio”: direttore Carlo Fermalvento
Organo della chiesa della Trasfigurazione del Signore a San Miniato Basso, costruito da Nicola Puccini op. 16 (2010)
Italia

Fugatto Records – FUG 053 – DDD – 2012

Recensione di Graziano Fronzuto

Per i Credenti, l’anno è scandito da ben precise festività  e solennità liturgiche, nelle cui messe vengono esposti ai Fedeli adeguati brani delle Sacre Scritture. Ciò vale tanto per i Cattolici tanto quanto (o forse più) per i Protestanti, specie i Luterani, che hanno fatto del Canto Sacro una parte irrinunciabile dei propri Riti. Ciò può essere fatto a voce recitata, col canto monofonico, col canto polifonico, con la musica strumentale e con ogni combinazione possibile tra queste eventualità.
Il CD proposto da Fugatto riesce a trasmettere con chiarezza tutto ciò con una scelta estremamente oculata di un numero esiguo di pezzi ma talmente significativi da essere chiarificatori di quanto esposto.
La parte del leone sembra farla il nuovo organo costruito da Nicola Puccini, cui è affidata la parte strumentale solistica e quella di accompagnamento, con brani di Johann Sebastian Bach: innanzitutto con l’ineffabile Preludio in Mi bemolle maggiore Op. BWV 552/a, con alcuni Corali, la “Fuga sul Magnificat”, e per finire (e chiudere adeguatamente il ciclo) la Tripla Fuga in Mi bemolle maggiore Op. BWV 552/b che in genere si esegue immediatamente dopo il Preludio, mentre in questa incisione le viene assegnato il compito di trionfante Postludio.
Se l’organo fa la parte del leone, non di meno in questo CD si odono voci preparate e scattanti come tigri che danno un’adeguata dimostrazione di ciò che possono fare la monodìa, la polifonia e la polifonia accompagnata con brani idoneamente scelti ed eseguiti con puntuale (per non dire pignola) precisione e accorata (per non dire magnetica) intonazione.
Due parole desidero spenderle per l’organo costruito da Nicola Puccini secondo criteri antichi, con una dedizione ed una bellezza che ne fa qualcosa di più di un prezioso oggetto artigianale, ne fa un’Opera d’Arte. D’altronde ha stupito anche il sottoscritto -che di organi ne conosce migliaia e ne ha suonati a centinaia- per il suo equilibrio sonoro. In poche parole, nelle sapienti mani dell’organista, questo strumento appare essere non solo ben più grande di quel che è (sia nelle dimensioni metriche che nel numero di canne) ma anche più che degno delle difficilissime musiche scelte per questa incisione, una sfida per l’organista ma anche e soprattutto per l’organo che -alla fine- si è dimostrato validamente all’altezza.
Infine, non si può non lodare senza alcuna riserva una piccola comunità Parrocchiale che -andando contro corrente- decide in questi tristi anni di dotarsi di un organo a canne, ospitare cori polifonici, addirittura registrare e diffondere un CD. Siamo veramente al massimo della lode. Si spera che -magari tramite il CD sapientemente e professionalmente realizzato da Federico Savio con la consueta deontologia-sarà seguita da tante altre in tutta Italia.

Settembre 2014 – Graziano Fronzuto

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La prima UKUTELE al mondo

Nasce per una bizzarra scommessa della musicista Francesca De Fazi con l’estroso liutaio Valerio Antonelli: l’UKUTELE. Strumento nuovo e particolare battezzato con il nome di Racheledomenica 6 aprile 2014, in occasione della registrazione del videomusicale con le Freak Damas sul Galleggiante sul Tevere.

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(tag: Rosanna Fronzuto)

Domenico Antonio Rossi. Organaro, Napoli 1769.

Domenico Antonio Rossi. Organaro, Napoli 1769. Racconta. A cura di Stefano Romano

Napoli, 2012

Recensione di Graziano Fronzuto

Con grandissima gioia ho avuto l’onore di ricevere questo preziosissimo volume dalle mani dell’Autore Don Stefano Romano, mio mentore in Storia dell’Arte Organaria. L’Autore è infatti uno dei massimi conoscitori della materia di cui è indiscusso caposcuola. E’ anche eccellente organista, compositore, didatta oltre che scrittore, insomma un Maestro in tutti i sensi e in tutte le attività artistiche in cui si è cimentato.

Il testo –ultima sua fatica letteraria in ordine di tempo– illustra ai lettori fatti ed eventi di cui l’Autore è stato protagonista partendo dal restauro dell’eccellente organo costruito nel 1769 da Domenico Antonio Rossi, organaro della cappella del re di Napoli, e conservato nella Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio a Capodimonte. Lo strumento, di grande valore storico ed artistico, è stato restaurato nel 1994 da Riccardo Lorenzini. L’Autore, che di tale restauro è stato promotore e protagonista, con la grande modestia che lo contraddistingue, si immedesima nell’organaro Rossi e finge che sia lui a raccontare la storia di questa sua opera e di come sia giunta ai giorni nostri.

Il restauro è stato consentito –oltre che dalla sensibilità personale e dall’impegno disinteressato ed instancabile dell’Autore– da un lascito di tre sorelle dell’alta borghesia napoletana, che viene minuziosamente descritto e documentato per dare al lettore la massima precisione nella valutazione dei fatti. In particolare viene letteralmente affrescata l’intera epoca in cui le tre sorelle sono vissute e vengono ritratti in modo completo ed ineguagliabile i protagonisti della vita culturale, artistica e religiosa della Napoli di quegli anni.

A tutto ciò (che non è affatto poco, anzi!), l’Autore aggiunge una serie di ricordi personali anch’essi documentati in maniera impeccabile grazie ad una ricca serie di fotografie (con didascalie così dettagliate da costituire nel loro insieme un ulteriore vasto capitolo del libro) che spaziano nell’arco di molti decenni. Tra queste spicca la grande foto dell’esecuzione dello “Stabat Mater” di Rossini, allestita nel 1942 (centesimo anniversario della composizione di questo capolavoro) al Teatro San Carlo, in cui l’Autore è ben riconoscibile in alto a destra tra le fila del grande Coro.

La Storia –quella con la maiuscola– si intreccia con i ricordi personali, avendo avuto l’Autore la possibilità di incontrare personaggi di spicco e di vivere esaltanti esperienze. Scorrendo le pagine si ha la sensazione di esserci calati dentro: viene subito da pensare che solo chi ha vissuto con l’animo attento e profondo può narrare con tanta passione e intensità, che traspaiono in ogni pagina.

Non è possibile sintetizzare il contenuto o evidenziare questo o quel fatto, questo o quel personaggio, questo o quell’evento: in effetti sono tutti egualmente importanti, tutti egualmente rappresentativi, tutti egualmente degni di nota. Testimone attento e –come si è detto– spesso protagonista, l’Autore riesce a convincere e soprattutto ad avvincere pienamente il lettore, che si immerge e si immedesima e si sente anch’egli parte viva di ciò che è narrato con tanta maestria.

Si incontrano così, insieme all’Autore, membri di famiglie nobili e dell’alta borghesia, prelati e figure di spicco della Chiesa, benefattori e mecenati, e soprattutto musicisti di grande statura artistica. Ognuno ha lasciato una traccia indelebile nella Storia, e l’Autore ne dà testimonianza con precisione e ricchezza di approfondimenti.

In conclusione, si apprezza in modo vivo ed esauriente la meticolosa precisione con cui l’Autore ha curato il testo, ogni riproduzione documentale, ogni fotografia ed ogni didascalia. Tutti i dettagli sono al loro posto, cosa davvero notevolissima data la mole e l’impegno. Del resto, il lavoro rispecchia perfettamente la personalità e la statura professionale ed artistica dell’Autore.

Perciò non posso che consigliare a tutti gli appassionati di Storia, di Arte, di Musica di avere nella propria Biblioteca questo volume, possibilmente nel posto d’onore che ampiamente merita. L’impressione complessiva è del tutto coerente con le altre Opere del nostro Autore, e cioè –senza inutili giri di parole– si ha a che fare con qualcosa fatto esattamente come si deve! Per dirla nella lingua napoletana, ed appropriandosi delle parole rivolte all’Autore stesso da Emilia Gubitosi (di cui l’Autore è stato uno degli allievi prediletti) “veco na’ cosa fatta comme s’hadda fa!”

Per la biografia dell’Autore, Stefano Romano: https://liberexitcultura.it/stefano-romano/