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Forse tutto accadde quando non si parlò più di opere e si premise alla parola l’aggettivo ‘grandi’.
Fu allora, forse, che ci colse una specie di priapismo dei lavori pubblici, la nostra attenzione smise di dedicarsi alle piccole cose: la pavimentazione di una strada, la cura di un sentiero, la sistemazione di un giardino, i lavori veramente utili che oggi di grande hanno soltanto il costo.
Pochi avrebbero avuto da ridire di fronte alle ingegnerie imponenti, se qualcuno nel frattempo non avesse smesso di occuparsi delle piccole cose con la passione ostinata di chi ha conosciuto la povertà.
Si progettano grandi ponti, grandi navi, fuoristrada, yacht per nababbi, e si fanno scivolare le cose minute in secondo piano, come una seccatura da adempiere per noiosi obblighi di contratto.
E i treni, anche: l’orario ferroviario, per esempio, non esiste più. Descriveva con puntiglio commovente la trama di collegamenti tra le stazioni più remote del paese, quelle dismesse e i cui binari sono ora spesso ricoperti dall’asfalto buono per gli autobus (grandi autobus, naturalmente). Per consultare l’orario dei treni, prodotto per la prima volta nel 1945 da un ferroviere in pensione, e per trovare la coincidenza giusta,  ci voleva un po’ di magia, ma scorrendolo pareva già di stare in vettura, con il paesaggio al finestrino. Sulla pagina i pochi treni veloci (i “direttissimi”) si riconoscevano dalla colonna con la riga continua che attraversava i nomi delle stazioni senza degnarli di uno sguardo.
Non erano treni per arrivare prima, quelli, ma per andare lontano.
Aprendo la home page di Trenitalia, vedo ora in primo piano la proposta delle frecce: non accorgendomi, da ingenuo provinciale, dell’ambiente lussuoso in cui sono capitato, provo a digitare sulla stringa della stazione il nome – che so io –  di Manarola, o di Castelvetrano. La pagina di Trenitalia fa una scrollatina di spalle e mi dice che quella stazione non esiste, e tocca aguzzare la vista, come nelle parole incrociate, per scoprire una linguetta posteriore intitolata “tutti i treni”. Lì finalmente troverò il piccolo collegamento, il pendolare petulante, e i costi – insostenibili per Trenitalia – della nostra vera quotidianità.

I piccoli treni, di Vittorio Alessandro

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In foto: Passa il treno, 1878. Olio su tela. Giuseppe de Nittis